“Unsane” di Steven Soderbergh – Recensione

Unsane

Unsane è l’ultima fatica del prolifico Steven Soderbergh, un thriller psicologico low budget dalle tinte horror girato interamente con un iPhone 7 Plus. Presentato alla Berlinale 2018, il film del regista statunitense affronta la tematica dello stalking a partire da un intreccio di finzione che ha come sua grande qualità il fatto di essere in grado di sovvertire costantemente le aspettative dello spettatore. Ricco di twist, Unsane è un film sorprendentemente godibile da seguire dal punto di vista narrativo, sebbene non sia esattamente leggero nell’affrontare i propri temi. Anzi, la violenza sia psicologica sia fisica messa in scena da Soderbergh appare come estremamente graffiante, amplificata soprattutto dalla particolare scelta creativa che vede il regista adoperare uno strumento così inusuale come mezzo di ripresa.

L’idea di Soderbergh di utilizzare un dispositivo mobile così piccolo e leggero come un iPhone, oltre a donare alla sua opera un feel da b-movie, contribuisce infatti a rendere gli ambienti del film particolarmente claustrofobici e a creare un particolare senso di intimità tra lo spettatore e la protagonista Sawyer (interpretata da Claire Foy). Grazie soprattutto alle frequenti inquadrature sul suo volto, Soderbergh ci permette di empatizzare costantemente con la ragazza, ingabbiata suo malgrado in una situazione estrema dalla quale non sembra trovare alcuna via di uscita.

Sawyer infatti è una giovane donna in carriera che ha dovuto trasferirsi da Boston in un’altra città per sfuggire al suo stalker David Strine (un Joshua Leonard di blairwitchiana memoria), in modo da cambiare vita e lasciarsi il passato alle spalle. Tuttavia, dopo essersi rivolta ad una clinica e dopo aver firmato inconsapevolmente un consenso al trattamento psichiatrico che prevede il suo ricovero, Sawyer si ritrova imprigionata nella struttura stessa all’interno della quale lavora proprio il suo stalker. David infatti ha cambiato identità e ha lasciato anche lui Boston per cercare di mantenere la sua vicinanza con la ragazza dalla quale è ossessionato. Le accuse di Sawyer nei suoi confronti non vengono ascoltate dal personale sanitario e dai dottori che, tacciandola di isteria, non mancano di aumentarle progressivamente il dosaggio dei medicinali.

Unsane

A tal proposito, il disagio psicologico al quale Sawyer è sottoposta viene riportato da Soderbergh attraverso l’utilizzo di diverse tecniche digitali di manipolazione dell’immagine che gli permettono di sfruttare ulteriormente il suo dispositivo di ripresa, articolando pertanto alcune sequenze di delirio visivo che sottolineano espressamente lo stato mentale precario della ragazza. Allo stesso tempo tuttavia, Unsane non vuole essere solamente il racconto del malessere interiore ed esteriore vissuto da Sawyer, ma sembra anche volersi porre come una forte critica al sistema sanitario americano, dominato dagli interessi dei privati: un tema che Soderbergh aveva già affrontato, in salsa diversa, nel non riuscitissimo medical thriller Contagion (2011) e in Effetti collaterali (2013) e che ritorna qui come marginale ai fini dello sviluppo della trama sebbene irrimediabilmente presente.

Ciò che non è marginale in Unsane è invece il suo studio accurato sui personaggi. Le personalità dei due centri focali dell’opera, Sawyer e David, sono ben delineate e approfondite e la loro ottima scrittura permette di mettere in secondo piano alcune ingenuità della trama nel suo complesso, ingenuità che non sono gravi e che non mettono in pericolo la sospensione dell’incredulità. La sanità mentale della protagonista ad esempio viene messa in questione diverse volte lungo la durata del film ma non è mai abbastanza per far credere allo spettatore che David non sia effettivamente il suo stalker. Al di là di queste piccolezze, l’opera ha comunque il merito di riuscire ad edificare una trama fortemente coerente con se stessa e di assegnarle uno stile visivo consono alla sua premessa.

Soderbergh pertanto realizza con Unsane un piccolo successo personale: un intreccio originale su un tema importante, ambientato in un setting credibile con personaggi interessanti, adottando peraltro una tecnica di ripresa ancora inesplorata. In un’epoca di prequel, sequel, remake, reboot e prodotti fotocopia c’è bisogno anche (e soprattutto) di operazioni come questa che, sebbene lontana dalla perfezione, non può che essere apprezzata.

Daniele Sacchi