Past Lives è un debutto folgorante. Celine Song, regista e sceneggiatrice canadese di origine sudcoreana, approda sul grande schermo con un racconto incredibilmente semplice alla sua base ma in grado di imporsi con tutta la sua forza e la sua carica emotiva. Candidato al premio Oscar per il miglior film e al premio Oscar per la miglior sceneggiatura originale, Past Lives è un’esplorazione sincera e autentica della fragilità delle relazioni umane. Il film d’esordio di Song mira a toccare le corde più sensibili dello spettatore, mettendo da parte qualsiasi possibile intrigo o dramma per focalizzarsi invece sui dettagli più piccoli e sottili che legano le vite dei suoi due protagonisti.
Past Lives inizia in una scuola di Seoul, dove i piccoli Hae Sung (interpretato da Teo Yoo) e Na Young (interpretata da Greta Lee) iniziano a frequentarsi e a sviluppare dei sentimenti l’un per l’altra. Purtroppo la famiglia della bimba si sta per trasferire a Toronto e Na Young – dopo aver cambiato nome in Nora Moon per adattarsi meglio al contesto occidentale – finisce per perdere i contatti con Hae Sung. Passati diversi anni, i due si ritrovano grazie a Internet, ma il tanto tempo trascorso, così come la lunga distanza e alcune incomprensioni, non potranno che minare il loro rapporto, specialmente nel momento in cui Nora si recherà in una residency per artisti dove farà la conoscenza dello scrittore Arthur (John Magaro).
Il senso del film di Celine Song è tutto racchiuso nella primissima sequenza del film. Sono le quattro del mattino, in un elegante lounge bar. Tre persone chiacchierano, ma non riusciamo a sentire che cosa dicono. Nel fuori campo, due voci in lontananza commentano la scena, chiedendosi malignamente perché quelle persone si trovino in quel posto a quell’ora. «Who do you think they are to each other?», «chi pensi che siano l’un per l’altro?». Prima di trasportarci nel passato per raccontare la loro storia e mostrare cosa li abbia condotti in quel bar, Song agisce isolando questo specifico momento, lo cristallizza nel tempo e lo vincola ad un preciso interrogativo. Il punto è la natura del legame, il valore della reciprocità, nonché dell’interconnessione con l’alterità. In un’espressione sola: in-yun, il destino, quei sottili fili che uniscono due persone nel corso della loro esistenza. Sono quelle connessioni che, secondo una certa visione spiritualista di matrice orientale, persistono anche con la reincarnazione, materializzandosi nell’improvvisa sensazione di aver già incontrato qualcuno, anche un completo sconosciuto, «tra gli 8000 strati di in-yun» delle proprie vite precedenti.
Lo sguardo registico di Celine Song è impressionante, a partire dal ricorso ai 35mm (il direttore della fotografia è Shabier Kirchner) che dona al film un’atmosfera naturale, sospesa, quasi senza tempo, volta ad evidenziare il romanticismo malinconico di Past Lives (o si tratta, più precisamente, di una malinconia romantica?), sino ad arrivare alla gestione del movimento della macchina da presa. Da quest’ultimo punto di vista, Song bilancia sapientemente momenti di staticità e di dialogo ad altri relativamente più sostenuti, come nell’incontro a New York tra i due protagonisti o nella meravigliosa sequenza conclusiva. Ed è proprio attraverso la sua risoluzione che in Past Lives, nel riflettere sulle occasioni perse, sui destini irrimediabilmente intrecciati, su quelle vite precedenti che forse non abbiamo mai vissuto, che Celine Song ci regala uno dei tagli di montaggio più belli degli ultimi anni, con quell’analessi improvvisa che ci riporta nel passato, per poi ri-ancorarci al presente con un’intensità drammatica straordinaria.
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Daniele Sacchi