Trap di M. Night Shyamalan, la recensione

Trap

Un serial killer è inseguito dall’FBI mentre assiste ad un concerto pop con la figlia adolescente. Il pitch narrativo di Trap contiene tutta l’essenza della nuova produzione di M. Night Shyamalan, un’idea semplice (ma efficace) sulla quale si regge l’intero film. Dopo il mediocre Bussano alla porta, Shyamalan ritorna sul grande schermo con un thriller dalle forti derive camp guidato dall’ottima interpretazione di Josh Hartnett nel ruolo del “macellaio” Cooper, una prova attoriale sopra le righe che però non è mai eccessiva.

In linea con la sua premessa narrativa, Trap ricalca tutte le fasi di un concerto, dall’arrivo degli spettatori sino al vero e proprio svolgimento dell’evento. La popstar che si esibisce nel corso del film è Lady Raven, interpretata dalla cantante Saleka, figlia dello stesso regista. Si tratta della seconda nepo baby della famiglia Shyamalan dopo la regista e sceneggiatrice Ishana che ha di recente esordito con il deludente horror The Watchers. Da questo punto di vista, Trap sembra proporsi come un effettivo showcase della musica di Saleka (lo stesso M. Night Shyamalan appare nel corso del film come membro del team di Lady Raven), con tanto di alcuni segmenti dove la regia si concentra esplicitamente sulla sua musica e presenza scenica.

Tra un brano e l’altro, Cooper cerca di ottenere più informazioni possibili su quanto sta accadendo dietro le quinte. L’intero concerto è infatti una trappola pensata per catturare il serial killer. Qui Shyamalan torna a ragionare sul rapporto tra cinema e temporalità già esplorato in Old, ma in un’ottica diversa, cercando in particolare di far coincidere l’ansia vissuta dal protagonista con la messa in scena di alcune peculiarità tipiche dell’esperienza concertistica. Abbiamo alcuni momenti di featuring, il fan sul palco con l’artista, l’encore, ma anche la pausa bagno e lo shopping del merchandise di Lady Raven. Tutto ciò durante una caccia all’uomo che vedrà Cooper depistare continuamente l’FBI nel tentativo di non essere catturato.

Sfortunatamente, quando Trap decide di lasciarsi alle spalle questo tipo di struttura caratterizzante, il film finisce per perdere tutte le sue sfumature creative, rientrando su binari da thriller classico molto meno interessanti. Insieme al cambio di tono, si aggiungono inoltre diverse storture. Ad esempio, se la produzione musicale di Saleka può risuonare come piacevole, lo stesso è difficile a dirsi per la sua interpretazione attoriale spenta e inespressiva. O, ancora, il rapporto tra il contesto familiare di Cooper, la sua psiche e le sue azioni viene solamente accennato e mai realmente esplorato.

Ciò che rimane di valore, invece, sono alcune suggestioni che lo sguardo contemporaneo di Trap riesce a trasmetterci, nello studio di alcune dinamiche da social network – lo vediamo, in particolare, nelle modalità attraverso le quali viene vissuto un concerto oggi, e Trap questo fatto lo sottolinea a più riprese – e nel soffermarsi su quelle piccole trappole in cui, bene o male, tutti finiamo per ricadere e che riguardano direttamente quei modi con cui cerchiamo di controllare il Reale, il mondo che ci circonda.

Daniele Sacchi