Ho visto la TV brillare – I Saw the TV Glow, la recensione

Ho visto la TV brillare

Ho visto la TV brillare (I Saw the TV Glow) di Jane Schoenbrun è già un cult negli Stati Uniti. Prodotto dalla Fruit Tree di Emma Stone e distribuito da A24, il film di Schoenbrun ragiona a viso aperto sulla difficoltà nell’accettare se stessi e sul valore della differenza. Lo fa con un taglio atipico, indipendente, lontanissimo dalle dinamiche invasive di certi prodotti contemporanei che al perseguimento dell’autenticità antepongono l’universo del politically correct. Ho visto la TV brillare, invece, lavora su più livelli, a partire da una traccia empatica che cerca di coinvolgere tutti – ma senza sbattere in faccia i suoi “temi” – sino ad arrivare ad una più diretta esplorazione della sua anima trasformativa e queer. Ed è un peccato che un film così interessante sia approdato in Italia solamente sulle piattaforme streaming quando avrebbe sicuramente meritato un passaggio in sala, anche se le ragioni economiche dietro a questa scelta possono risultare comprensibili.

Ho visto la TV brillare, infatti, è a prima vista una materia poco identificabile, inusuale, “strana”. Al centro del film troviamo Owen (Justice Smith), un ragazzo solitario e senza amici, tenuto a freno soprattutto dal padre Frank (interpretato da Fred Durst, il frontman dei Limp Bizkit), il quale – tra le altre cose – non gli permette di vedere il suo show preferito, The Pink Opaque, perché considerato come un programma «per donne». Owen, tuttavia, riesce a legare con una ragazza, Maddy (Brigette Lundy-Paine), a sua volta vittima di una situazione familiare difficile. La passione condivisa per The Pink Opaque, serie surreale e weird che per i due ragazzi appare come più reale della loro stessa vita, riesce ad unirli, almeno fino a quando una terribile notizia non può che sconvolgerli: lo show, dopo cinque stagioni, verrà cancellato.

Il respiro del film di Jane Schoenbrun, per ricorrere ad un’analogia musicale, è quello di un prodotto lo-fi. Non fino in fondo, perché comunque il budget c’è (il film è costato 10 milioni di dollari), ma l’estetica di Ho visto la TV brillare riesce ad amalgamare con sapienza una misurata eleganza formale con lo stile camp e grottesco di The Pink Opaque, spesso sovrapponendone i piani senza soluzione di continuità. Punto di partenza fondamentale per mettere in moto questo processo di disarticolazione visiva è una riflessione che prende le mosse dalle potenzialità dello schermo, come accadeva anche nel film precedente di Schoenbrun, We’re All Going to the World’s Fair. È nella relazione tra Owen e Maddy con ciò che vedono attraverso la finestra dello schermo a plasmare il loro rapporto con la realtà, un escapismo straniante che si riveste di malinconia e di grigiore esistenziale.

Nonostante la luminosità dei suoi neon, Ho visto la TV brillare si lascia continuamente trasportare da atmosfere cupe e misteriose. A sottolineare ancora di più il turbinio burrascoso dell’interiorità dei suoi due protagonisti, il film di Schoenbrun ricorre spesso ad inserti musicali che ricordano le sequenze del Roadhouse della terza stagione di Twin Peaks. Esibizioni di artiste come Haley Dahl (la mente dietro al progetto Sloppy Jane), Phoebe Bridgers e di Kristina Esfandiari della band King Woman si affiancano ad un torbido tappeto sonoro composto dai soundscape di Alex G. Notevole, dal punto di vista musicale, è ad esempio la scena che vede Owen, inquadrato di spalle, vagare per i corridoi della scuola accompagnato dai riverberi della meravigliosa voce di Caroline Polachek. Ho visto la TV brillare vive di momenti come questo, impressioni che trasportano lo spettatore nel mondo interiore del protagonista svelandone le insicurezze e le ossessioni, alla ricerca di una brillantezza e di un’intensità dell’anima, nella speranza – forse vana – del raggiungimento di una catarsi.

Daniele Sacchi