Il gladiatore II di Ridley Scott, la recensione

Il gladiatore II

Nell’epoca della proliferazione di remake, sequel, spin-off e chi più ne ha più ne metta, non poteva mancare l’arrivo nelle sale di una produzione cinematografica come Il gladiatore II. A un anno di distanza dal fallimentare Napoleon, Ridley Scott ritorna al passato rimettendo mano sulla sua “creatura” del 2000, Il gladiatore, vincitore di cinque premi Oscar (tra cui miglior film). Da un lato, il gusto per una certa epica kolossal è rimasto. Il gladiatore II ripercorre tutte le tappe già battute dal suo predecessore, costituendosi quasi come una sua rivisitazione più che come un sequel vero e proprio (lo stesso è accaduto di recente anche in Top Gun: Maverick). Dall’altro lato, proprio a causa di questa sensazione di costante déjà vu che accompagna la trama del film, la nuova incursione nella storia romana di Ridley Scott non offre mai qualcosa di realmente interessante nel suo piatto.

Ambientato vent’anni dopo la morte di Massimo Decimo Meridio (Russel Crowe), Il gladiatore II riparte da Lucio Vero (Paul Mescal) nipote di Marco Aurelio e figlio di Lucilla (Connie Nielsen) – lo abbiamo già visto, da bambino, nel primo film – fuggito in Africa per celare la sua identità. Dopo che il generale romano Acacio (Pedro Pascal) conquista la Numidia, Annone (così si fa chiamare Lucio) viene reso schiavo, ma grazie alle sue capacità di combattimento riesce ad attirare l’attenzione di Macrino (Denzel Washington). Quest’ultimo, un mercante di schiavi molto vicino alle sfere alte della politica romana nonché ai due imperatori gemelli Geta (Joseph Quinn) e Caracalla (Fred Hechinger), trasformerà Annone in un gladiatore a Roma promettendogli vendetta nei confronti di Acacio.

Nonostante le sfumature differenti che distinguono il primo film da questo secondo capitolo, l’essenza è la stessa. Si tratta, in fondo, di una rivisitazione nostalgica, alla quale manca però la freschezza e l’originalità che caratterizzavano il suo predecessore. Lo sviluppo narrativo procede per compartimenti stagni, di battaglia in battaglia, da una cospirazione all’altra. Le follie tiranniche di Geta e Caracalla riecheggiano l’instabilità di Commodo, ma non ne sono nient’altro che un pallido riflesso. Lo stesso personaggio di Annone, centro focale di questa grande operazione commerciale, non possiede la stessa presenza scenica di Massimo (Mescal, in questo, non ha colpe), con la sua quest di vendetta che ripercorre quanto già visto e non brilla mai di luce propria.

Se vogliamo guardare il tutto da un’altra prospettiva però (e qui ritorna il parallelismo con Top Gun), cosa ci si poteva aspettare da un sequel di un film come Il gladiatore? Per usare un verbo comune di cui spesso si abusa, il film in fondo funziona. È una somma di parti che si muove su binari sicuri e che, di fatto, non inciampa mai (se non in alcuni dettagli, come i pacchiani mostri-babbuini in CGI). E in certi punti, Il gladiatore II va anche oltre il semplice “compitino”, come nel caso del personaggio di Macrino, trainato da una potente interpretazione da parte di Denzel Washington e vero e proprio punto di forza di questo sequel nella sua indole quasi shakespeariana. Insomma, Ridley Scott non bissa il suo miglior film degli ultimi anni, quel The Last Duel di kurosawiana memoria, ma non siamo nemmeno nei territori farseschi del già citato Napoleon o dell’imbarazzante soap di House of Gucci. A modo suo, Il gladiatore II è ciò che dovrebbe essere: un sequel cauto, consapevole di far parte dell’epoca del trito e del ritrito.

Daniele Sacchi