Wicked, la recensione del film

Wicked

Il cinema mainstream – o meglio il mercato del cinema mainstream – è tutto un gioco basato sull’equilibrio tra aspettativa e realtà, tra il rumore che si cerca di fare per attirare pubblico in sala per far risaltare il proprio prodotto e il prodotto in sé. In questa dinamica, spesso, è la qualità che va a perdersi. Invece, Wicked di Jon M. Chu – che arriva in sala come uno dei titoli più attesi dell’anno – è sicuramente un successo. Un titolo che dimostra la fluidità di una storia che corona ed esalta quello che è uno dei musical più longevi di Broadway, con ben 21 anni di rappresentazioni ininterrotte.

Era il 1939 quando Il mago di Oz, con un’esplosione di colori e musica a stupire il pubblico, cambiò la storia del cinema, diventando subito modello e ispirazione per altri artisti, scrittori e ovviamente cineasti. Tra le tante opere ispirate all’universo di Oz, quella che ha riscosso più successo è proprio Wicked, prima romanzo di Gregory Maguire, poi trasposto in un musical da Stephen Schwartz e Winnie Holzman e che dal 2003 incanta Broadway, entrando, a ragione, nell’Olimpo dei classici, e infine film nel 2024.

Wicked parla di diversità, talento, amicizia e pregiudizi, è una storia americana che si inserisce perfettamente nel dialogo contemporaneo. Chu riesce a mantenere tutti i tratti che hanno reso Wicked un classico del genere musical e a trasportarli perfettamente al cinema, chiudendo il ciclo di un’opera che dopo aver attraversato tutti i media, ritorna alla sala: anche se l’universo di Oz nasce sulla carta stampata, è comunque con il cinema che diventa effettivamente di successo.

Per gli amanti del genere non c’è molto da dire, Wicked è musical nella maniera più pura, quasi alle radici del genere, ovvero l’opera lirica. Se infatti il musical cinematografico live action spesso incarna un discorso che mette in discussione il meccanismo filmico dell’immersione, di fatto interrompendo la finzione con un qualcosa di ancora più “finto” come il canto, in Wicked abbiamo invece un musical più “puro”, un’opera cantata che vuole essere solo espressione di grandi talenti (in tutti i reparti) e un omaggio all’esperienza teatrale. I fortunati che hanno potuto vedere Wicked a teatro ritroveranno la stessa esperienza e anche qualcosina in più.

Infatti, quello che a tutti gli effetti è un prequel del capolavoro diretto da Victor Fleming, deve misurarsi con il lavoro precedente e, anche qui, colpisce nel centro. Come Il mago di Oz ha portato la rivoluzione del colore, del Technicolor, rendendo ancora più magico il viaggio in una terra immaginaria, Wicked riesce a riprendere tutto quel colore che nel cinema digitale si stava perdendo. Similmente al Barbie di Greta Gerwig, anche qui la scenografia “vera” ha un ruolo chiave, sia nel ricreare la magia del teatro – addirittura dandole una dimensione in più – sia nel rendere omaggio alle maestranze del passato.

La scelta del regista da parte della produzione è perfetta, una scelta sicura, con una carriera consolidata nel musical cinematografico, e ancora più azzeccata è la scelta del cast. Ariana Grande, artista eclettica, popstar che qua torna a recitare dando forse una nuova direzione alla sua carriera, incarna magnificamente l’essenza del personaggio che interpreta. Wicked ripercorre infatti la vita della strega dell’Ovest de Il mago di Oz (The Wicked Witch of the West), la strega verde sensibile all’acqua, ne approfondisce le origini trasformandola in una antieroina, lentamente incattivita dal pregiudizio e dall’ignoranza, una storia di libertà e autoaffermazione. In questo contesto Glinda, il personaggio di Ariana Grande, è contemporaneamente comic relief e controparte della protagonista Cynthia Erivo, grandissimo talento canoro che, a sua volta, rende perfettamente il personaggio della strega, arricchendolo.

Wicked è, in soldoni, il più classico dei buddy movies, dove le due personalità opposte sono prima in contrasto e poi vengono avvicinate dagli eventi e dalle avversità. Oltre l’amicizia, l’ingrediente che rende interessante Wicked – come spesso succede nei prequel – è dato dal sapere l’esito della storia, nell’attesa del momento in cui il protagonista che ci viene proposto come umano, buono, sofferente e vittima inizi il suo inesorabile declino verso il lato oscuro. Per chi non conosce la storia, questa risposta arriverà tra un anno. I due atti del musical teatrale, infatti, vengono fedelmente ricreati in sala, dividendo il film in due parti. La scelta meno comprensibile è quella di un’attesa così lunga.

Una parentesi interessante da aprire in merito alla distribuzione del film è legata all’eredità del fenomeno del Barbenheimer. Si parla infatti di Wickediator in relazione all’uscita ravvicinata de Il gladiatore II e di Wicked. Molti sono i punti in comune tra queste uscite e quelle di Barbie e di Oppenheimer nel 2023. Ma anche se questa volta il contrasto non è stato sfruttato per muovere la macchina del marketing, resta comunque rilevante l’eco nei social media del fenomeno, che ha lasciato nell’immaginario comune una traccia più profonda rispetto ai film stessi (di più sul Barbenheimer qui).

Wicked è, quindi, una fantastica espressione del genere musical, un prodotto mainstream capace di soddisfare ampiamente le aspettative che ha alimentato, di giustificare una manovra pericolosa e abusata come la divisione in capitoli, ma soprattutto è una grande performance corale, puramente cinematografica.

Alberto Militello