Rosencrantz e Guildenstern sono morti è un’opera che nasce originariamente in qualità di tragicommedia per il teatro scritta da Tom Stoppard negli anni ’60, contribuendo ad arricchire il vasto panorama di lavori direttamente ispirati a William Shakespeare. Nel 1990, lo stesso Stoppard ne realizza la versione cinematografica, curandone la sceneggiatura e dedicandosi per la prima e unica volta nella sua carriera alla regia, riuscendo peraltro ad aggiudicarsi il Leone d’oro alla Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia.
«Io non capisco. Chi siamo perché tutto debba dipendere dalla nostra insignificante morte?». Identità e rappresentazione, il ruolo dell’attore e del personaggio: Rosencrantz e Guildenstern sono morti prende le mosse da queste tematiche per strutturare il suo racconto, strizzando più volte l’occhio agli stilemi del teatro dell’assurdo senza allo stesso tempo tralasciare la forte eredità shakespeariana. Tom Stoppard reinterpreta l’Amleto e parallelamente se ne allontana, decidendo di focalizzarsi ampiamente su due personaggi marginali nel complesso dell’opera di Shakespeare.
La trama del film, infatti, si concentra sul viaggio di Rosencrantz (Gary Oldman) e di Guildenstern (Tim Roth) verso Elsinore, dove sono stati convocati da Claudio (Donald Sumpter), nuovo Re di Danimarca, per indagare sullo stato mentale di Amleto (Iain Glen). Più precisamente, Stoppard espande il ruolo dei due personaggi dell’Amleto costruendo attorno alle loro figure un intreccio che li vede come gli insoliti protagonisti di una storia già scritta, inevitabile, alla quale i due non sembrano potersi sottrarre. Rosencrantz e Guildenstern, che inizialmente non ricordano il motivo del loro viaggio, incontrano nelle battute iniziali dell’opera una compagnia di attori che, dopo averli convinti a partecipare attivamente in uno dei loro spettacoli, li catapulta letteralmente nella tragedia di Shakespeare. Il ruolo dei due uomini diventa così teso verso intrinseche duplicità: da parte attiva del plot a semplici osservatori dell’ambiente che li circonda, da indagatori della realtà a meri veicoli narrativi, Rosencrantz e Guildenstern diventano sia parte dell’identità del film sia il mezzo attraverso il quale si muove lo sguardo spettatoriale.
«Più vera di ogni possibile immaginazione reale». Il commento pronunciato da Amleto dopo aver assistito ad una tragedia inscenata dagli stessi attori incontrati dai due protagonisti riguardante la scomparsa del padre è un ulteriore segnale della volontà destrutturante espressa da Stoppard sin dalle premesse della sua opera. La temporalità e la spazialità non esistono realmente e sono un mero costrutto per far agire – o non agire – i suoi personaggi. Rosencrantz e Guildenstern discutono più volte sulla fattualità del reale, interrogandosi ad esempio sulla posizione del Sole per cercare di stabilire l’orizzonte fenomenico che li circonda. Una sequenza importante in tal senso è quella della moneta: al suo lancio, Rosencrantz ottiene sempre testa. È frutto del caso o vi è effettivamente una certa forma di disconnessione che influenza la realtà? La rottura sembra essere totale: l’intervento autoriale distorce le aspettative attorno al ruolo degli oggetti, sino ad arrivare a destabilizzare i personaggi stessi.
Inoltre, ad un livello di pura analisi identitaria, in Rosencrantz e Guildenstern sono morti possiamo assistere ad una crisi del soggetto che riguarda sì il mondo esterno, ma che è tesa anche verso la dimensione più strettamente individuale. I due protagonisti del film non solo hanno bisogno dell’intervento, non perfettamente compreso, della compagnia di attori per ricordare il motivo del loro viaggio (in una mise en abyme in perenne coazione a ripetere), ma sono anche costantemente in difetto nei confronti di loro stessi. Come riscontrabile in diverse occasioni, infatti, Rosencrantz crede più volte di essere Guildenstern, e viceversa. In un mondo in cui nulla sembra corrispondere a ciò che è realmente, persino l’individuo si sgretola piano piano, finendo per perdere il contatto con gli elementi che dovrebbero determinarlo.
L’interesse di Rosencrantz verso le leggi fisiche che regolano la realtà è un ulteriore passo mosso da Stoppard verso la descrizione di un microcosmo caotico e non soggetto a semplici riduzioni e categorizzazioni. Ad esempio, Rosencrantz si trova più volte ad un passo dal comprendere come funziona la gravità, ma il disinteresse di Guildenstern gli impedisce di dare una vera forma alle sue scoperte. I due sono solo personaggi-attori e nessuna consapevolezza sullo statuto del reale può mirare ad alterare il loro destino irrimediabilmente segnato. Tra esistenzialismo, filosofia e approfondimento delle possibilità euristiche del teatro e del cinema, Rosencrantz e Guildenstern sono morti espande a modo suo il discorso sulla rappresentazione e sul rappresentato, rielaborando un’opera già estremamente dissezionata e riproposta in molteplici istanze come l’Amleto di Shakespeare in una veste incredibilmente originale.
Daniele Sacchi