The Square, Palma d’oro al Festival di Cannes del 2017, è una pellicola stimolante, provocatoria e estremamente attuale. Non a caso, durante la conferenza stampa successiva all’assegnazione dei premi a Cannes, il presidente della giuria Pedro Almodóvar lo ha descritto come un film sulla «dittatura del politicamente corretto» (cfr.). Ruben Östlund, già regista dello splendido Forza maggiore (2014), riflette sulla percezione collettiva, sulla responsabilità individuale, sulla libertà d’espressione e sui suoi limiti, articolando un discorso che ben si sposa con alcuni dei temi fondamentali al centro del dibattito pubblico contemporaneo.
La base attraverso la quale Östlund struttura il proprio percorso di approfondimento sociale è l’arte. Il protagonista del film, Christian (Claes Bang), è infatti il curatore di un museo d’arte contemporanea a Stoccolma. Il museo deve organizzare uno spazio per l’installazione di un’artista argentina, Lola Arias (artista realmente esistente ma apparentemente non legata alla produzione del film), intitolata The Square, un «santuario all’interno del quale tutti godono di uguali diritti e obblighi». Parallelamente ai tentativi di preparare al meglio l’installazione per la sua presentazione al pubblico (come, ad esempio, nella cura della pubblicità), Christian si trova a fare i conti con una serie di eventi che mettono a dura prova i concetti e i principi che rappresenta e che veicola attraverso il proprio ruolo istituzionale.
Sin dall’incipit di The Square, Östlund rende evidente la volontà di fondere un certo humour dal sapore nordico con il dramma sociale. Se da un lato infatti abbiamo una certa leggerezza di fondo, esemplificata nella scena dell’intervista condotta dalla giornalista Anne (Elizabeth Moss) a Christian, nella quale la spiegazione del gergo museale legato all’esperienza propria dell’arte contemporanea sembra quasi annullare completamente il proprio valore pedagogico tra contraddizioni e voli pindarici, dall’altro possiamo osservare invece come Östlund sia effettivamente interessato all’esplorazione della condizione dell’essere umano al giorno d’oggi, come riscontrabile invece dal furto subito da Christian e dalle sue particolari azioni di risposta ad esso.
In particolare, in The Square possiamo assistere ad una vera e propria dicotomia tra il reale e la sua rappresentazione. L’installazione di Arias vuole richiamare le persone a introdursi in uno spazio dove ogni individuo ha lo stesso valore di un altro, spazio nel quale ogni differenza legata alla situazione socioeconomica, alla provenienza, al colore della pelle, ecc., viene accantonata in favore del rispetto reciproco, insieme alla garanzia di un aiuto in caso di necessità. La rappresentazione di questa idea di realtà, come evidenziato non solo dalla risposta di Christian al furto ma anche dallo sviluppo dei suoi rapporti intersoggettivi, si scontra con il reale stesso, nella misura in cui la propria situazione personale richiede all’individuo di avere il sopravvento sul resto. In una sequenza, ad esempio, Christian si mostra caritatevole nei confronti di una mendicante, mentre in un secondo momento rifiuta di aiutarne un altro, imponendogli peraltro di curare i suoi effetti personali mentre cerca le proprie figlie all’interno di un centro commerciale.
Il video pubblicitario realizzato per presentare l’opera The Square si muove a sua volta in direzione di un’aspra interpretazione di alcuni dei nuovi dogmi della contemporaneità. Cosa non può mancare al giorno d’oggi nella presentazione di un oggetto, e in questo caso nell’ottica di una trasformazione dell’oggetto artistico in un prodotto da consumare in un processo simile – ritornando così all’intervista iniziale – a quanto veicolato dal museo stesso in quanto tempio dell’arte, se non la sua mediazione attraverso Internet? YouTube, viralità, shock: gli ingredienti sono semplici, e la loro commistione non può che generare interesse, sia da un punto di vista critico – nella controversia generata dalla brutalità dell’evento mostrato – sia da un punto di vista più strettamente idealistico. Fino a che punto può spingersi la rappresentazione? Vi è un paradosso nell’autoimposizione di limiti da parte di un’istituzione che promuove l’assenza di criteri definitori?
Una suggestiva sequenza nella quale il performer Oleg (Terry Notary) terrorizza gli invitati di un ricevimento fingendo di essere una scimmia sottolinea ulteriormente il dilemma proposto da Ruben Östlund. Ispirato da una performance reale dell’artista russo Oleg Kulik, il regista svedese non solo prosegue lo stesso discorso già avviato attraverso il video pubblicitario, ma cerca di approfondire anche la tematica della responsabilità, ritornando così al tema centrale dell’installazione The Square. Fino a che punto posso preoccuparmi solo di me stesso e non degli altri? Come esemplificato anche dall’indifferenza della gente di fronte alle richieste di aiuto di una ragazza durante la sequenza del furto subito da Christian, la risposta sembra purtroppo evidente: vi sono una serie di problematiche che non possono essere alterate operativamente dal singolo individuo. L’azione personale può sì fungere da punto di partenza, ma è solo un piccolo passo verso una presa di coscienza collettiva nei confronti dei limiti dell’uomo che, di fatto, necessita delle vere e proprie integrazioni strutturali.
Daniele Sacchi