«Il futuro è metallo». Tetsuo, opera di culto realizzata nel 1989 dal regista giapponese Shinya Tsukamoto, non cerca inutili giri di parole per rendere immediatamente chiara la sua poetica. L’idea centrale del film è evidente sin dal graffiante incipit, nel quale un individuo interpretato dal regista stesso si squarcia una gamba per inserirvi un’asta di metallo come sorta di protesi. “Il feticista del metallo”, come identificato nei titoli di coda, presto si rende conto che il soddisfacimento del suo desiderio più recondito ha mandato in putrefazione il suo arto, e durante la sua fuga disperata dalla consapevolezza di questa realtà viene investito da un’automobile. Il conducente del mezzo e la sua compagna non ci pensano due volte a liberarsi del corpo del ragazzo, ma il feticista del metallo tornerà a tormentarli nei giorni seguenti attraverso il metallo stesso, portando infine l’automobilista a trasformarsi progressivamente in un vero e proprio uomo-macchina.
Corporeità, enhancement umano, mutazione: il leitmotiv del film è semplice da identificare ma allo stesso tempo risulta incredibilmente complesso da metabolizzare. Tetsuo è in primo luogo il frutto di un discorso già avviato dal cortometraggio Futsû saizu no kaijin (1986) e dal mediometraggio Le avventure del ragazzo dal palo elettrico (1987), opere proto-cyberpunk che già anticipavano la volontà di Tsukamoto di seguire un percorso ben preciso di analisi e di svisceramento delle possibilità più estreme dell’upgrade corporeo umano. Un percorso che vede sempre al centro delle sue narrazioni delle figure che si trovano in balia degli eventi, individualità impossibilitate nel reagire a quanto sta accadendo al loro corpo, quasi a voler presentare allo spettatore la sottomissione dell’uomo alla techné, la quale sembra essere in grado di assoggettarlo alle sue esigenze. Nell’universo di Tetsuo ciò che appare come evidente infatti è il collasso estremo delle capacità e delle conoscenze tecniche umane attraverso la loro estrema ripetizione, ripetizione che si fa carne e corpo.
“L’impiegato”, l’automobilista di cui sopra, nel suo inevitabile e kafkiano processo di metamorfosi si ritrova irrimediabilmente sottoposto alla volontà del metallo, che presto diventerà parte anche della sua sfera sessuale. Il collasso dell’umanità non passa infatti solamente attraverso l’allegoria del metallo, delle zone industriali, delle fabbriche abbandonate, ma si muove anche attraverso la carnalità. In seguito ad una visione onirica della compagna nell’atto di penetrarlo con una protesi serpentina, l’impiegato si risveglia con un insaziabile appetito sessuale: una volta colmato questo desiderio, il protagonista del film si rende presto conto della terribile mutazione che ha sconvolto il suo apparato genitale, sostituito inspiegabilmente da un gigantesco trapano che pone fatalmente fine alla vita della sua compagna. L’atto sessuale pertanto si istituisce in Tetsuo non solo come sottotesto ma come il vero e proprio momento di inizio della metamorfosi reale dell’impiegato, quasi come l’atto procreativo che il rapporto sessuale dovrebbe simboleggiare.
La sequenza, così come l’intera parte finale dell’opera che vede l’impiegato scontrarsi con il redivivo feticista del metallo, da un punto di vista strettamente stilistico risulta molto efficace grazie soprattutto all’utilizzo del bianco e nero e alle tecniche della stop animation e della claymation, soluzioni che avvicinano Tetsuo al lynchiano Eraserhead e che permettono inoltre a Tsukamoto di porre una grande enfasi sulla resa fotografica, donando alla pellicola un tono fortemente espressionista. Insieme alla scelta di adottare un montaggio molto rapido e un sonoro a tinte industriali che richiamano realtà musicali come quelle proprie dei Throbbing Gristle e degli Einstürzende Neubauten, il regista giapponese riesce a dare al suo film una forte identità, riuscendo pertanto nel produrre una pietra miliare del genere cyberpunk. Il sipario di Tetsuo si chiude dopo i crediti con un apocalittico e videoludico game over: per l’umanità non sembra esserci più spazio, il futuro è qui ed è il metallo, la rovina, la distruzione.
Daniele Sacchi