Dopo la parentesi di War Machine (2017), il regista australiano David Michôd rinnova con The King – Il re (2019) il suo sodalizio con Joel Edgerton – con il quale aveva già collaborato in Animal Kingdom (2010) e in The Rover (2014) – consegnandoci un film brillante e coraggioso su Enrico V d’Inghilterra, capace di infrangere le barriere della storia per parlare (anche) di noi e del nostro tempo. Michôd e Edgerton, responsabili della sceneggiatura, si ispirano in The King all’Henriad di Shakespeare, un ciclo di drammi storici dedicati ad alcuni sovrani inglesi. Deviando ampiamente dalle opere shakespeariane e dalla storia stessa, i due autori australiani realizzano una narrazione originale sulle gesta di Enrico V che, sebbene racconti degli eventi precisi, ambisce all’universale.
La trama si concentra su Hal, principe di Galles e erede al trono di Inghilterra, interpretato dalla rising star Timothée Chalamet. A causa dei suoi comportamenti dissoluti e ribelli, Hal è stato privato del diritto di successione dal padre, Enrico IV (Ben Mendelsohn). Tuttavia, in seguito ad una serie di eventi inevitabili, Hal verrà chiamato a guidare il suo popolo e a far fronte a numerose insidie, sia interne alla corte sia esterne. È qui che risiede la componente più attuale del film, o più precisamente ciò che si presenta come ineliminabile in ogni discorso sull’uomo, a prescindere da ogni epoca.
The King parla infatti di potere, controllo, manipolazioni e disagi interiori: disagi che, una volta resi manifesti, non potranno che liberarsi con un impatto tale da smuovere ogni equilibrio precario, in un processo imprevedibile e inarrestabile. Il film diretto da David Michôd racconta l’inevitabilità umana, troppo umana, dello scontro, in quelle situazioni in cui vi è un esercizio di potere, nel suo senso più ampio e non necessariamente correlato ad una dimensione regale. «Un re non ha amici, ha solo seguaci e nemici»: le parole pronunciate dal cavaliere John Falstaff (interpretato, tra l’altro, da Joel Edgerton), ripensate in un’ottica estesa, sembrano un monito globale, un tentativo di richiamare l’attenzione sulle peculiarità archetipiche e primordiali dell’uomo.
Nel rappresentare visivamente le connotazioni dello scontro e del contrasto, Michôd ricorre a diverse soluzioni. Una delle più interessanti si presenta immediatamente allo sguardo spettatoriale nei primi momenti dell’opera. The King inizia infatti con un focus atipico su un personaggio secondario, il cavaliere e nobile Harry Hotspur (Tom Glynn-Carney), reduce dalle guerre anglo-scozzesi e insofferente nei confronti del regno di Enrico IV. Sin dai primi istanti, dunque, Michôd centralizza l’attenzione sul rifiuto verso il potere costituito, in un sovvertimento che non proviene dal basso ma dall’alto, guardando alla necessità di un ulteriore scontro per legittimare un eventuale ritorno all’ordine, il quale paradossalmente non può che prescindere dal caos della guerra.
In tal senso, i tentativi successivi da parte di Hal di governare pacificamente si inseriscono in linea con la stessa necessità percepita da Hotspur, sebbene originata da un contesto personale differente, presentandosi peraltro in netta continuità con il desiderio personale del giovane sovrano di non voler ripetere gli errori del padre. Tuttavia, una perenne coazione a ripetere delle tensioni autodistruttive dell’uomo finirà comunque per ripresentarsi, insieme a tutti i problemi e alle conseguenze che ne possono derivare.
The King è dunque un film storico che vuole muoversi apertamente ben al di là del rappresentato, coadiuvato da uno stile visivo pulito e minimale che si adatta perfettamente all’epoca trattata e alle intenzioni dell’autore. Il frequente accompagnamento sonoro, realizzato da Nicholas Britell, riempie magistralmente i silenzi e i vuoti, donando un’atmosfera quasi mistica all’opera, valorizzandone le grandi qualità estetiche ed evidenziando a dovere l’espressività emozionale ricercata da Michôd – preferita a nozionismi di sorta e in linea con il testo shakespeariano di riferimento. The King è un film misurato, a tratti, ma che sa quando spingere al massimo, guidato da un Chalamet eccezionale e da un buon cast di supporto, dal già citato Edgerton agli ottimi Sean Harris e Robert Pattinson.
Daniele Sacchi