Mila (Apples il titolo internazionale) è il lungometraggio d’esordio di Christos Nikou, già assistente alla regia di Yorgos Lanthimos in Kynodontas (2009). Presentato nella sezione Orizzonti della 77esima edizione della Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia, il film di Nikou è uno sguardo interessante su alcuni dei temi figli della nostra epoca che cerca in particolar modo di approfondire il problema dell’identità e della crisi del soggetto contemporaneo, inserendosi pienamente nelle tendenze del nuovo cinema greco.
Senza volerlo neanche fare apposta, tenendo in considerazione il periodo storico che stiamo vivendo, il punto di partenza di Mila è una pandemia. La pandemia di Nikou è una forma di amnesia che sembrerebbe colpire molti individui e che porta il soggetto a dimenticare la propria identità e il proprio passato, nonché alcune nozioni sociali e culturali di base (in una sequenza, ad esempio, vediamo il protagonista Aris non riconoscere le musiche natalizie). Condotti in una clinica riabilitativa, coloro che sono affetti da questa particolare amnesia possono essere reclamati – quasi come se fossero un oggetto – da un familiare o da un conoscente.
Ma cosa succede se qualcuno non viene reclamato? Il film, in tal senso, si concentra su un singolo personaggio – Aris, appunto – e ci mostra il suo percorso di vita da “non reclamato”, con il personale della clinica che lo segue passo passo nel ricrearsi una nuova identità. Christos Nikou, pertanto, pone immediatamente al centro della sua indagine il senso di smarrimento dell’uomo contemporaneo, decidendo di far focalizzare lo sguardo spettatoriale sulla particolarità della vita di Aris invece di occuparsi di un quadro più ampio, il quale distoglierebbe solamente l’attenzione dal punto fondamentale del film.
E il punto di Mila non può che essere ricercato già a partire dalla particolare scelta stilistica – ormai abbastanza inflazionata, va detto – del formato 4:3, che amplifica il disagio esistenziale del protagonista attuando una vera e propria forma di isolamento di Aris all’interno dei bordi dell’immagine cinematografica stessa. Isolato, perso in un mondo che non riesce a riconoscere e per il quale non ha più gli strumenti con cui interagire, Aris si trova a vagare accompagnato solamente dalla sua polaroid, richiamata a sua volta dal particolare formato scelto.
La fotografia gioca un ruolo predominante nello sviluppo narrativo di Mila. Nikou non vuole proporre semplicemente una riflessione sul valore della memoria: lo stratagemma narrativo dell’amnesia, infatti, non vuole farci guardare al passato, bensì al presente e al modo in cui interagiamo con il reale. Ad Aris, così come agli altri pazienti sottoposti al programma Nuova Identità, viene ad esempio impedito di interagire con smartphone e device simili. Possono, tuttavia, svolgere una serie di attività e al loro termine scattare una foto, rigorosamente analogica.
Compiere nuove esperienze e formare nuovi ricordi, nel tentativo di riplasmare la propria identità, non può passare dal digitale perché si cerca di eliminare dal soggetto il rischio dell’alienazione. Tuttavia, il programma Nuova Identità, anche quando promuove il contatto con l’alterità, si muove in ogni caso su binari grigi, asettici e in alcuni casi degradanti. Il regista greco dipinge dunque un ritratto freddo del reale e, forse, sembra suggerirci, il passato al quale ci viene chiesto di non rivolgere più lo sguardo potrebbe invece contenere alcune risposte importanti ai dilemmi del nostro tempo.
Daniele Sacchi