Johnny Cash che mostra il dito medio, Janis Joplin seduta su un divanetto del backstage, Jimi Hendrix che dà fuoco alla sua Stratocaster: immagini iconiche di alcuni dei più grandi nomi della musica degli anni ‘60 e ‘70, figure che non è necessario avere di fronte per capire di chi si stia parlando. Non esiste scatto di grandi star dell’epoca che non abbia la firma di Jim Marshall, personaggio tanto eccentrico quanto i soggetti delle sue foto. Il documentario del 2019 Show Me the Picture: The Story of Jim Marshall di Alfred George Bailey, disponibile su Prime Video (qui il trailer), racconta, attraverso diverse testimonianze, la genesi di moltissimi scatti e registrazioni, l’incredibile vita di un fotografo e della sua arte.
Come viene ben individuato nel documentario, Jim Marshall incarna come pochi lo spirito del suo tempo, un tempo in cui la musica ha avuto un ruolo fondamentale, proponendosi come la voce dei cosiddetti “orfani dell’America”. Chicago era la città che poteva rendere un musicista o un gruppo delle vere e proprie star, ed era soprattutto la città di Jim Marshall, con il tempo divenuto una specie di entità, presente ad ogni avvenimento importante, armato di diversi apparecchi: fotografici, ma anche coltelli e pistole. Una presenza invisibile solo nelle sue foto, che raggiungono un livello di intimità ineguagliabile, ma tutt’altro che invisibile nella realtà: ci sono ottime ragioni in tal senso per credere che il personaggio interpretato da Dennis Hopper in Apocalypse Now (Francis Ford Coppola, 1979) fosse ispirato proprio a Marshall.
Show Me the Picture si focalizza tanto sul personaggio quanto sulla sua arte di fotografo, inteso nel senso più classico di mestiere: si analizzano lo stile, alcune scelte tecniche, i metodi e l’approccio ai soggetti. Il viaggio nella storia della musica, attraverso colui che ne ha catturato i momenti più significativi, diventa così incredibilmente coinvolgente. Ed è questa attenzione e questo coinvolgimento che mettono in moto il meccanismo della piattaforma, facendo emergere il nodo cruciale, il punto fermo attorno al quale Prime Video ruota: lo spettatore è un cliente. Incuriositi dal soggetto, notando gli svariati album che vengono sfogliati nel corso del documentario, quasi istintivamente si digita “Jim Marshall” su Amazon per trovare come primo risultato una bella raccolta fotografica che porta lo stesso titolo del documentario. Il ragionamento in sé non è preoccupante, ciò che impensierisce è l’influenza che viene esercitata sul prodotto finale, anche se di fatto non è un meccanismo per nulla nuovo alla produzione audiovisiva, ma solo esercitato diversamente.
Per concludere, Show Me the Picture è sicuramente un prodotto molto interessante, che offre un retroscena e una prospettiva singolare su uno dei momenti musicali (e storici) più significativi del secolo scorso, che cattura l’interesse e l’attenzione tanto degli amanti del cinema quanto di quelli della fotografia. Lo sguardo, infatti, la continua ricerca di una prospettiva, di un momento che da solo descriva interamente una persona o un’esperienza, in altre parole l’autorialità, sono tutte caratteristiche sia del fotografo sia del cineasta.
Alberto Militello