800 eroi, il primo incasso in Cina e il secondo in tutto il mondo del 2020, è un film di guerra dedicato ad approfondire la difesa del magazzino Sihang, un evento bellico che ha avuto luogo a Shanghai nel 1937 durante la seconda guerra sino-giapponese. Diretto da Guan Hu, il kolossal cinese è uno sguardo sulla Storia dai toni molto patriottici e focalizzato soprattutto sul punto di vista proprio degli 800 eroi, in realtà 452 soldati il cui numero venne ingigantito per confondere i soldati giapponesi. A metà tra racconto storico e propaganda popolare, il film piega la narrazione alle sue esigenze extrafilmiche, rivolgendosi anacronisticamente al contemporaneo.
Il magazzino Sihang – le Termopili cinesi, volendo – è l’ultimo baluardo dell’esercito contro le 20 mila truppe dell’impero giapponese in assedio alla città. La messa in scena è perfettamente in linea con il degrado e la rovina della situazione rappresentata. Attacchi suicida da un lato e difese spericolate dall’altro, corpi dilaniati, sangue e violenza spropositata: il contesto della guerra, seppur circoscritto in una singola area, viene mostrato senza eccessive edulcorazioni. La fotografia è sporca e grezza nei momenti in cui è corretto che lo sia, mentre è cupa ma più afferrabile nei momenti più tranquilli, segno di una volontà registica ben indirizzata e consapevole del medium.
Gli scivoloni di 800 eroi non sono, infatti, da ricercare nell’impianto visivo dell’opera, il quale ha comunque una sua dimensione specifica, ben ragionata e in linea con produzioni simili, anche di stampo hollywoodiano. Il film, purtroppo, soffre strutturalmente a causa dell’eccessiva alternanza tra momenti di foga e momenti di quiete che, se da un lato permettono allo spettatore di respirare, dall’altro non rendono pienamente giustizia all’intensità drammatica che l’evento rappresentato dovrebbe suscitare. Parallelamente, 800 eroi avrebbe giovato di meno parole e più silenzio, evitando soprattutto di riempire la maggior parte degli scambi di battute tra soldati di divagazioni patriottiche e di riflessioni sul senso dell’onore.
La rappresentazione del “nemico invisibile”, il ricorso allo scontro dicotomico e metaforico del bianco e del nero, così come il costante dipingere l’invasore come lo straniero incapace di comprendere i valori veicolati invece dai protagonisti – sottolineando dunque l’apparente nobiltà d’animo di quest’ultimi – sono tutti tòpoi che rientrano quasi sempre in produzioni di questo tipo. 800 eroi si limita, nel bene e nel male, a portare a compimento le sue premesse, rivestendole però di una coltre fortemente politicizzata che, per quanto ineliminabile nel contesto produttivo e industriale cinese, risulta vetusta e di scarso interesse per lo sguardo occidentale.
Le recensioni del Far East Film Festival 23
Daniele Sacchi