Małgorzata Szumowska e Michał Englert consolidano il loro sodalizio artistico ventennale – la regista e il direttore della fotografia sono stati anche sposati, in passato – con Non cadrà più la neve, la prima effettiva operazione co-registica per i due autori polacchi, in concorso lo scorso anno alla 77esima Mostra del Cinema di Venezia. Il risultato è una commedia scura permeata tuttavia da un sapore mistico e magico, uno sguardo sulla classe media polacca che abbraccia diverse tematiche e suggestioni ma che si dimostra in grado di centralizzare il proprio discorso soprattutto sull’aspetto più umano delle vicende raccontate.
Perno fondamentale di Non cadrà più la neve, in questo senso, è il personaggio di Żenia (Oleh Yutgof), un massaggiatore ucraino di Pryp’jat’ – città situata a pochi chilometri da Černobyl’ – dalle capacità ipnotico-taumaturgiche che riesce ad imporsi come una figura metafisica e profondamente ineffabile per la comunità locale. Chi è Żenia? Cosa vuole Żenia? Nessuno sembra davvero preoccuparsene, sono altri i problemi che si manifestano come più pressanti per le loro vite. D’altronde, è per questo che hanno bisogno di un massaggiatore che plachi, almeno per un istante, le interminabili ansie del Reale. Żenia, in qualità di insolito supereroe che la città probabilmente non merita ma di cui ha sicuramente bisogno, accetta la sua vocazione dai tratti quasi cristologici conducendo i suoi “clienti” in una sorta di oasi di pace e di salvezza per la mente, uno stato e luogo della mente forse effimero ma non per questo meno concreto.
Nonostante il suo ruolo, Żenia non è, in ogni caso, un semplice involucro vuoto alla mercé dell’alterità. Małgorzata Szumowska e Michał Englert ci permettono di entrare in contatto con la soggettività e con il mondo interiore del protagonista di Non cadrà più la neve in diverse occasioni, sottolineando con degli splendidi quadri in movimento il passato sfuggente dell’uomo. Szumowska e Englert abbracciano un lirismo visivo dalle tinte tarkovskijane, richiamando persino esplicitamente il finale di Stalker in una sequenza, segno di una precisa timbratura autoriale che non desidera limitare l’orizzonte espressivo del film al suo messaggio e che preferisce stimolare ampiamente lo spettatore anche sul piano visivo.
Non cadrà più la neve, se osservato da questa prospettiva, raggiunge i suoi momenti più alti quando si discosta dai suoi aspetti più marcatamente sociali per soffermarsi sulla sensibilità umana e per perseguire una genuina e autentica messa tra parentesi delle differenze, in modo da concentrarsi sui punti di contatto, sulle sovrapposizioni intersoggettive, sulla ricerca di un’affinità di spirito in una realtà che sembra invece promuovere una presunta necessità imperante di scontri e di conflitti. Il film di Szumowska e Englert è un equilibrato affresco di alcune delle tensioni e contraddizioni specifiche figlie del contemporaneo, sospendendo però ogni possibile giudizio – se non per una spiccata nota ambientalista che ci regala una meravigliosa sequenza conclusiva – in favore di un esame più accurato di ciò che ci rende umani. Żenia, di fatto, non può mai incarnarsi come una figura pienamente salvifica dalle quali dipende il destino del mondo: il compito ultimo di migliorare la nostra vita e ciò che ci circonda è nelle nostre mani, e dobbiamo prenderne atto.
Daniele Sacchi