A 91 anni Clint Eastwood ha ancora voglia di divertirsi e di far divertire. Il suo amore per il cinema è intramontabile e Cry Macho – Ritorno a casa lo dimostra pienamente. Certo, il suo ultimo film – attualmente in sala – ha dei difetti, non è uno dei capolavori del regista, ma è comunque un’opera stimolante che nasce dalla volontà di mettersi ancora in gioco, fregandosene degli anacronismi.
Michael “Mike” Milo (Clint Eastwood) è un vecchio cowboy da rodeo, una leggenda nel settore che in gioventù ha fatto incetta di premi e vittorie, ma gli anni da campione sono ormai lontani. Nel corso di una gara, uno stallone è crollato su di lui, spezzandolo mentalmente e fisicamente. L’unico uomo che non l’ha abbandonato, concedendogli di lavorare ancora, è stato Dwight (Dwight Yoakam), il proprietario del ranch in cui si esibiva. Ora, diverso tempo dopo, Dwight è venuto a riscattare il favore fatto a Milo. Suo figlio è in Texas, fuori controllo e tra le mani di una madre alcolizzata e pericolosa. Il cowboy dovrà imbarcarsi in un viaggio on the road per recuperare il giovane e consegnarlo ad una vita che potrebbe essere migliore per lui.
Tra il buddy movie e il viaggio di formazione, in Cry Macho possiamo riconoscere alcuni dei temi ricorrenti nell’ultimo cinema di Eastwood, che molto spesso si esplicano sotto forma di contrasti: wilderness contro tamed, da una parte la natura selvaggia del giovane Milo e degli stalloni allo stato brado, dall’altra la vita “domata” del vecchio uomo; il focolare estraneo ma accogliente di Marta e le sue nipoti, che fanno da contraltare ai genitori naturali di Rafo, materiali, freddi e opportunisti, ad indicare come la famiglia sia qualcosa che si sceglie, e non imposto dalla natura. Infine, ovviamente, il contrasto generazionale: Rafo e Milo, un uomo al tramonto della propria vita, un cowboy vissuto e dal passato tormentato, che deve assumere il ruolo di padre putativo di un giovane acerbo, smanioso e ancora “non domato” dalla vita.
I problemi di Cry Macho – Ritorno a casa sono quasi tutti rintracciabili nell’arco di tempo che precede l’incontro tra Milo e Rafo. Il film sembra smanioso di far incontrare questi due personaggi e tutto accade estremamente in fretta: il cowboy viene cacciato e ripreso in pochissimo tempo e con il suo fascino da allegro vecchietto riesce ad infiltrarsi nella casa di una (forse) signora del crimine controllata da diverse guardie. Tutto accade in maniera superficiale e veloce, ma quando finalmente i due protagonisti si incontrano allora Cry Macho imbocca la strada giusta e tutto gli viene perdonato. I difetti diventano quasi dei punti di forza, capaci di strappare un sorriso allo spettatore. Poco importa se a 91 anni il personaggio di Milo cavalca, picchia e si ribalta in macchina senza farsi nemmeno un graffio, non importa nemmeno se riesce a sedurre giovani ragazze come solo lo straniero dagli occhi di ghiaccio riusciva a fare, quello che conta è che il film è interessante e divertente, e non si può che sperare che Eastwood continui a fare film così per altri novantuno anni.
Gianluca Tana