Il verbo inglese to shoot descrive perfettamente il concetto che si cela dietro il documentario There Will Be No More Night di Éléonore Weber. Shooting può infatti significare sparare con un’arma da fuoco, oppure riprendere un video, due azioni che apparentemente non si conciliano, ma che si trovano a coincidere perfettamente nel caso dei piloti militari di elicotteri. Sugli elmetti di questi viene montata una videocamera capace di seguire i movimenti del capo e di inquadrare ciò che il militare sta guardando: in questo modo, si può ottenere una ripresa di ogni operazione di guerra, e allo stesso tempo si può calibrare la mitragliatrice dell’elicottero perché spari nel punto esatto in cui il pilota sta guardando.
There Will Be No More Night (qui il trailer) è un documentario composto interamente da riprese militari d’archivio, montate da Weber e commentate in un confronto con Pierre V., un pilota dell’aviazione francese. A bordo degli elicotteri non c’è una vera separazione tra il mezzo e il soldato, con quest’ultimo che diventa un vero e proprio ibrido uomo-macchina con super sensi potenziati attraverso la tecnologia. La videocamera consente di sparare, di zoommare verso l’obiettivo, di fornire una serie di dati sensibili ma, soprattutto, è capace di «cancellare la notte». I militari volano infatti sfruttando una visione ad infrarossi, capace di evidenziare le fonti di calore, consentendo una grande mobilità e controllo anche in situazioni di oscurità totale.
Se è vero che la visione tecnica viene potenziata, il contrappasso è una disumanizzazione del soggetto inquadrato, ridotto ad una macchia di luce bianca. Nonostante la violenza delle immagini, non si ha mai la sensazione di osservare un evento traumatico o una morte violenta. La visione notturna applica un filtro alla nostra percezione, tutto ciò che riusciamo a vedere sono luci di varia intensità che si amplificano o spariscono in base al fuoco dell’arma. Un effetto che influisce anche sui piloti, e anzi sembra proprio uno degli obiettivi delle forze militari: rimuovere l’umanità dalla vittima designata, in modo da alleviare il senso di colpa e la pressione di chi deve sparare. Per questo non si parla mai di vittime ma di obiettivi, non si parla di sparare ma di ingaggiare: l’ignoranza e la non consapevolezza rendono accettabile anche l’inaccettabile.
There Will Be No More Night non è solo una riflessione sulla brutalità della guerra. Sotto la superficie di questo tema si nasconde, infatti, un discorso metacinematografico sul documentario e sullo statuto delle immagini. Numerose sono le riflessioni del narratore che possono essere traslate dall’ambito della guerra a quello della nostra società tout court, a partire dal concetto di “cultura del dubbio” che Pierre V. definisce come l’incapacità dei piloti di fidarsi di ciò che vedono: «i piloti imparano a non credere a ciò che vedono, più osservano meno riescono a fidarsi».
Si tratta di un concetto che si potrebbe benissimo inserirsi in una riflessione teorica sul “cinema del reale”, un cinema che potenzia la nostra visione. Proprio come le videocamere degli elicotteri da combattimento, i documentari ci permettono di osservare da vicino degli aspetti della vita che normalmente non potremmo conoscere. Allo stesso tempo, però, questa non è solo una visione filtrata e non oggettiva, ma è soprattutto una visione distante, lontana, che necessita di un’attenta interpretazione da parte dell’osservatore per non rischiare di incappare in un errore di interpretazione.
L’interpretazione dell’immagine è il nodo centrale della riflessione di Weber, il suo documentario sembra (tra le altre cose) un monito per gli spettatori: non bisogna accettare le immagini per come ci appaiono, bisogna interrogarle e studiarle con attenzione, proprio come i piloti devono imparare a valutare ciò che stanno osservando per non rischiare di sparare a degli innocenti. Il problema dello spettatore contemporaneo si riflette nel grande rammarico di Pierre V., cioè quello di vedere «troppo e non abbastanza allo stesso tempo».
Gianluca Tana