Qualche anno fa, i notiziari di tutto il mondo hanno iniziato a parlare della cosiddetta Brexit, ovvero l’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea, una separazione che, se guardiamo alla suddivisone dei voti tra i Paesi che compongono il Regno Unito, è l’ennesima dimostrazione di una scarsa coesione non solo esterna ma anche interna. I conflitti tra i “britannici” sono sempre stati sotto l’occhio di tutti, basti solo pensare ai diversi nomi con i quali essi stessi si identificano all’interno del proprio Stato: inglesi, gallesi, scozzesi, nordirlandesi, tutti popoli con una grande identità nazionale che però si trovano riuniti sotto un unico Stato. Sono proprio i nordirlandesi, al centro di Belfast di Kenneth Branagh, coloro i quali hanno sofferto maggiormente la questione identitaria, vivendo di fatto sotto il segno di una bandiera a cui non sentono di appartenere.
Nei territori dell’Irlanda del Nord, dagli anni Sessanta del secolo scorso, tra gli irlandesi cattolici e gli inglesi protestanti si è aperto un vero e proprio conflitto politico e sanguinolento che, però, ha radici ben più profonde, che arrivano direttamente dalla conquista di quel piccolo territorio appartenente all’Irlanda da parte degli inglesi dal 1600 circa. La forte repressione subita dagli irlandesi ha trovato nel corso della Storia un certo equilibrio, garantito da accordi presi dalle due parti, ma che nel tempo ha creato dei conflitti molto vivi proprio tra la popolazione laica, che si è vista costretta a convivere con la predominanza di ideologie politiche e religiose a loro opposte.
Lo scontro trentennale iniziato nei tardi anni Sessanta è stato proprio uno di questi “picchi” e ha prodotto grandi danni e squilibri soprattutto nei territori dell’Irlanda del Nord, prima fra tutte la città di Belfast. Ed è proprio della sua città, Belfast, di cui Kenneth Branagh parla nel suo ultimo lavoro, candidato a 7 premi Oscar. Il conflitto nordirlandese è stato mostrato cinematograficamente innumerevoli volte, da grandi cineasti e sotto diversi punti di vista, ma Branagh riesce a restituirci la sua personalissima visione dell’evento.
Questo continuo conflitto è tuttora un argomento molto sentito in loco a causa, appunto, della Brexit. Branagh decide quindi di affidare il racconto di questo particolare disagio a un bambino, Buddy, il quale vive in prima persona gli inizi degli scontri ma, soprattutto, osserva come la sua famiglia reagisce agli attacchi dei cattolici nella cittadina inglese. Buddy, probabilmente trasposizione di Branagh stesso, vive tutto come un’avventura, come uno di quei film che si incanta a guardare al cinema o alla televisione. È solamente grazie ai genitori e ai nonni, e alle discussioni adulte che questi si scambiano, che Buddy capisce che forse il pericolo è tangibile e vicino, anche se per lui rimane incomprensibile.
Branagh utilizza il bianco e nero come color per il suo racconto per narrare quelli che sono stati gli avvenimenti storici che hanno portato a quella che è oggi Belfast, città che viene mostrata ad inizio film come profondamente contradditoria. Ma gli eventi mostrati in Belfast non sono semplicemente episodi rimasti nella Storia ma, come accennato inizialmente, sono caratteristiche e conflitti che ancora oggi sono concreti e sentiti dalla popolazione. Il racconto del regista nordirlandese quindi, pur mostrandosi retrò rispetto al linguaggio cinematografico di oggi, si inserisce pienamente nella contemporaneità poiché racconta, parlando del passato, quello che tutt’oggi è presente nelle famiglie e nelle differenze che rendono quella parte di Regno Unito più unica che rara ma, soprattutto, difficile da comprendere e capire per i “forestieri” di passaggio.
Il film di Branagh ricorda quasi una sorta di diario del regista stesso e, per questo, a tratti risulta essere forse fin troppo ancorato ai ricordi e con difficoltà fa immergere lo spettatore sentimentalmente nella sua diegesi. Belfast è un racconto del passato ma con uno sguardo sull’oggi, il punto di vista di un bambino che vive situazioni più grandi di lui e di difficile comprensione, un po’ come lo è oggi la maggior parte della popolazione che ancora vive sul filo del rasoio, in un popolo composto da famiglie e persone con Credi diversi e con ideologie politiche opposte.
Erica Nobis