In un meraviglioso resort immerso in quel paradiso naturale che sono le isole Hawaii, qualcosa dovrà pur andare storto: un omicidio, infatti, finirà per rovinare irrimediabilmente la vacanza di un gruppo di ricchi americani. The White Lotus di Mike White è la serie antologica che, giocando sui meccanismi del giallo, tiene con il fiato sospeso per sei episodi (lasciando un po’ a desiderare nel suo esito finale), aggiudicandosi ben 10 Emmy Awards nella categoria delle miniserie e delle serie antologiche.
La serie si presenta presto come corale, con numerose linee narrative che si incrociano e convergono, e non stupisce in tal senso il fatto che i due attori vincitori dell’Emmy – Murray Bartlett e Jennifer Coolidge – siano stati proposti nelle categorie di supporto. Il resto dei premi ricevuti è per lo più di natura tecnica, il che ci porta subito al clou del discorso circa The White Lotus: la trama della serie è debole, o meglio, non ha un’articolazione e una presa così interessante. L’interesse del pubblico è suscitato unicamente – in maniera molto forte, questo va detto – da alcuni meccanismi narrativi tipici dei prodotti gialli: qualcuno viene ucciso, ma non si sa chi né tanto meno da chi, si viene subito catapultati in un luogo circoscritto e isolato, avendo quindi la certezza di conoscere tutte le persone coinvolte, e in ultimo, nella migliore tradizione romanzesca, tutti hanno moventi che li spingono l’uno contro l’altro. Questa carica narrativa, purtroppo, rimane completamente inespressa, ed è tenuta in piedi solamente grazie ad un’utilizzo della musica eccellente (e qui si torna sui motivi dei premi tecnici), volutamente invadente e capace di instillare un certo tipo di disagio in termini di ricezione spettatoriale. Di nuovo, però, questa spinta non si risolve mai in nessuna azione davvero significativa fino alla fine, lasciando, in fondo, un po’ delusi nella resa narrativa complessiva della serie.
Un aspetto della scrittura che vale la pena analizzare è quello relativo ai personaggi, ciò che rappresentano individualmente e nel complesso. Innanzitutto, tutti gli ospiti del resort White Lotus sono perlopiù ricchi e bianchi, e le uniche diversità sono individuabili nei membri dello staff e in Paula (Brittany O’Grady), amica di Olivia (Sydney Sweeney) e “ospite” della sua famiglia molto abbiente, vittima peraltro di una pressione scaturita da un’amicizia non genuina. Partendo da questo disagio, si riscontra in ogni gruppo, in ogni “camera” potremmo dire, un disamina di tutti i problemi che affliggono la società americana, in particolare la sua componente più privilegiata: dalla signora anziana e alcolizzata alla famiglia disfunzionale in cui il maggior successo della moglie comporta la repressione del marito e a un rapporto tossico con la mascolinità, fino al giovane ricco imprenditore, incapace di comprendere le necessità della sua moglie-trofeo, abituato a comprare tutto ciò che vuole e a non dover mai affrontare le conseguenze dei suoi errori. Si tratta, insomma, di un bel panorama sull’umano e sul sociale.
In questa descrizione dell’umanità segnata dal disagio, non mancano in The White Lotus momenti divertenti, sempre volti a inquadrare ancora meglio lo squallore che circonda l’agio e la ricchezza dei protagonisti. Resta comunque il grosso problema di un esito blando e di un’eccessiva costruzione della suspense narrativa che non porta mai a quell’esplosione e a quel rilascio che la renderebbe utile, e questa sensazione si inizia a percepire già da metà serie, quando si realizza che, di fatto, bisognerà attendere i momenti conclusivi per assistere veramente ad un po’ di azione e di intensità drammatica.
Alberto Militello