Barbarian, la recensione del film di Zach Cregger

Barbarian

476, Barbary Street. In Barbarian, tutto ruota attorno a questo misterioso appartamento di Brightmoor, quartiere degradato di Detroit. Il punto di partenza del film è un errore logistico: l’appartamento è stato prenotato da due persone per lo stesso periodo attraverso due servizi online differenti. Tess (Georgina Campbell) si trova a Detroit in vista di un colloquio di lavoro, ma al suo arrivo al 476 di Barbary Street troverà infatti l’abitazione occupata da un ragazzo di nome Keith (Bill Skarsgård). Vista l’ora tarda, i due decidono di condividere l’appartamento per la notte e aspettare il giorno dopo per sistemare la questione, ma la scoperta di un passaggio segreto nel seminterrato porterà a galla alcuni terribili incubi dal passato.

Il rischio di inciampare nel già visto era enorme per il regista e sceneggiatore Zach Cregger (sino ad oggi impegnato come attore in commedie di poco conto), ma – a sorpresa – Barbarian riesce a fondere in maniera intelligente un gusto horror pienamente contemporaneo con un substrato camp grottesco e, a tratti, persino divertente. A differenza di operazioni recenti come Smile o Black Phone, eccessivamente derivative e nel complesso poco inquadrate, Barbarian si dimostra invece un film capace di presentare immediatamente una chiave interpretativa fondante attuale e calata nel reale, e soprattutto di portarla avanti sino in fondo con estrema coerenza.

Chi sono i barbari del nostro mondo? Cregger nasconde sapientemente i twist del suo film imboccando inizialmente binari molto lineari e, all’apparenza, semplici. Il pretesto narrativo del disguido sembra suggerire immediatamente allo spettatore la volontà di intraprendere una direzione horror tipica, dove ciò che viene raccontato in realtà “non è quello che sembra”. Certo, in Barbarian questa premessa è parzialmente vera, ma il percorso narrativo intrapreso agisce perlopiù per sovvertimenti e ribaltamenti prospettici, i quali diventano evidenti già nella chiusura del primo atto. Senza rivelare nulla sulla trama del film – che non merita assolutamente di essere anticipata – Barbarian si propone presto come un azzeccato commentario sociale sul patriarcato e sulla violenza sulle donne, grazie anche all’introduzione di due personaggi, l’attore di sitcom AJ (Justin Long) e il sospetto Frank (Richard Brake), che incarnano alla perfezione due esempi di barbari effettivi e reali.

L’abiezione e la barbarità emergono dunque non solamente attraverso il contatto diretto con il mostruoso, ma soprattutto nell’esame del contesto che lo circonda e che conduce al suo concepimento. Se questa è la cornice granitica ed irremovibile che definisce Barbarian alla sua base, il tono del film viene sottoposto diversamente a continui mutamenti, a partire dalla serietà dei pericoli mortali che Tess dovrà affrontare sino ad arrivare alle derive tragicomiche dei segmenti dedicati ad AJ (o al senzatetto Andre, specialmente nell’ultima scena che lo vede protagonista).

Colpisce, in tal senso, la diversa disposizione ed attitudine di entrambi dinanzi alla possibilità del pericolo: Tess si lascia guidare apertamente dal suo intuito femminile, mentre AJ è maggiormente interessato a salvaguardare se stesso e il proprio tornaconto personale. Così, i momenti più inquietanti di Barbarian, più che nei jumpscare o nelle parentesi più slasher del film, non possono che risultare nelle rivelazioni più becere sugli esseri umani, segno di un horror maturo in grado di confrontarsi con concretezza con la realtà.

Daniele Sacchi