Michael Fassbender interpreta un assassino glaciale, meticoloso e calcolatore in The Killer, il nuovo film di David Fincher in concorso all’80esima edizione della Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia. Dopo l’incursione nella storia del cinema hollywoodiano di Mank, Fincher ritorna in un territorio a lui caro (e di cui è maestro), quello del thriller. Lo sguardo registico fincheriano è lucidissimo e il film non delude minimamente dal punto di vista visivo e delle messa in scena. A mancare in alcuni tratti, invece, è la solidità di una sceneggiatura con pochi conflitti, picchi e scosse. Tutto ciò stupisce, dal momento che lo script del film è curato dallo sceneggiatore di Seven, Andrew Kevin Walker, che però (e forse non a caso) negli ultimi 20 anni non è riuscito a produrre nulla di altrettanto stimolante.
L’intreccio di The Killer è basato sull’omonima graphic novel francese. Un assassino apatico, silenzioso, scettico e perfettamente adatto all’orribile “professione” che svolge fallisce per errore un omicidio all’apparenza semplice. Tornato nel suo rifugio nella Repubblica Dominicana, l’assassino trova l’abitazione sottosopra e la sua compagna in ospedale gravemente ferita. Intenzionato a vendicarsi, l’uomo dovrà girare il mondo per individuare i responsabili di quanto accaduto e farsi giustizia da solo.
È una fortuna che dietro la macchina da presa di The Killer vi sia David Fincher, perché diversamente ci troveremmo di fronte ad un’operazione probabilmente tediosa e fiacca. La maestria del regista statunitense si percepisce sin dalla sequenza d’apertura, la quale ci illustra il modus operandi ordinato e sistematico del killer incarnato da Fassbender, con l’attore irlandese che nel corso del film lavora soprattutto di mimica, di sguardi e di corporeità, portandoci a stretto contatto con il suo Io interiore non solo attraverso la sua ottima performance ma anche grazie all’uso ricorrente del voice over. Tra i dettagli più interessanti di The Killer emerge in particolar modo l’utilizzo della musica dei The Smiths, mentre le composizioni di Trent Reznor e Atticus Ross sono come sempre di alto livello, anche se meno d’impatto rispetto alle precedenti collaborazioni con il regista. Seppur breve, anche la prova attoriale di Tilda Swinton è convincente ed incisiva nel singolare confronto tra il suo personaggio e il protagonista del film.
A lasciare interdetti, invece, sono alcuni passaggi riguardanti più esplicitamente il racconto di vendetta veicolato in The Killer. Vi è poco di nuovo, gli eventi sono freddi come il protagonista, il pathos e la tensione drammatica latitano. Si tratta di una scelta ponderata, ma il rischio è quello di smarrirsi, specialmente all’interno di una matrice di genere ben codificata come quella del thriller. L’unica vera sorpresa arriva dalla scelta di una chiusura poco convenzionale, perfettamente in linea con il killer atipico ed inconsueto che la guida, nonostante nel complesso il payoff sia minimo (per non dire assente). Siamo lontanissimi dal potente climax liberatorio di Gone Girl, dal caos distruttivo di Fight Club, dagli intrighi cervellotici di The Social Network, dalla lancinante chiusura di Seven.
Siamo invece più vicini al reame di un thriller filosofico ed esistenzialista, interamente incentrato su un uomo che crede di essere il migliore in quello che fa e che, suo malgrado, si trova a dover affrontare una situazione pericolosa ed imprevista dove molti dei suoi mantra (come il non improvvisare mai o la continua ripetizione della formula «stick to the plan») finiscono per venir meno. The Killer antepone la cornice al contenuto e l’introspezione all’azione, reiterando forse eccessivamente alcune delle sue premesse, compensando la sua poca brillantezza narrativa con una precisa attenzione alla forma.
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Daniele Sacchi