La piattaforma di streaming MUBI ha da poco reso disponibile ben 24 opere del genio visionario di Aki Kaurismäki, tra lungometraggi, corti, documentari e video musicali. In attesa dell’uscita del suo ultimo film, Foglie al vento, Premio della Giuria all’ultima edizione del Festival di Cannes e in uscita nel nostro Paese il 21 dicembre per Lucky Red, abbiamo deciso di rivolgere uno sguardo ai suoi 17 lungometraggi (tutti disponibili su MUBI ad eccezione di Miracolo a Le Havre) per cercare di comprendere al meglio la sua poetica ed estetica cinematografica. In questa prima parte tratteremo i suoi primi otto film, da Delitto e castigo a Ho affittato un killer, mentre nella seconda parte (disponibile a questo link) ci occuperemo dei suoi nove film successivi, da Vita da bohème a L’altro volto della speranza.
Crime and Punishment – Delitto e castigo (1983)
Il film di esordio di Kaurismäki è un retelling del romanzo omonimo di Dostoevskij ambientato nella Finlandia degli anni ‘80. Al centro delle vicende vi è un ex studente ora lavoratore nei pressi di un mattatoio che, spinto dalla sete di vendetta, assassina il responsabile della morte della sua compagna. Il peso delle sue azioni, insieme al rapporto imprevisto che si verrà ad instaurare tra l’uomo e una donna testimone del delitto (ma che non sembra intenzionata a consegnarlo alle autorità), condurranno l’uomo ad una profonda crisi esistenziale. Delitto e castigo contiene già tutti gli elementi tipici del cinema di Kaurismäki, dal tentativo di suscitare nello spettatore una sensazione di vicinanza empatica con i drammi di figure ai margini, spesso in condizioni lavorative precarie, sino ad arrivare all’esplicita denuncia sociale, focalizzandosi però sempre sulla centralità dell’essere umano e dei suoi conflitti.
Calamari Union (1985)
Il secondo film di Kaurismäki, Calamari Union,introduce un’altra componente fondamentale della sua proposta cinematografica, ossia una spiccata ironia, un black humour pungente e stravagante che evidenzia a dovere la natura provocatoria e anticonformista del regista, attribuendo ai suoi film personalità, carattere e – soprattutto – uno stile originale e riconoscibile. Calamari Union, nello specifico, racconta il viaggio surreale di 16 uomini (di cui 15 chiamati Frank e uno di nome Pekka) a Helsinki nel tentativo di spostarsi dal quartiere Kallio al quartiere Eira. In fuga dalle difficoltà, dall’anonimità e dall’oppressione del quartiere operaio, l’eccentrico gruppo di uomini cerca rifugio nel più ricco (e da loro idealizzato) Eira, ma non tutti riusciranno a superare indenni quest’insolita odissea tra le vie e tra i palazzi della capitale finnica.
Ombre nel paradiso (1986)
Ombre nel paradiso è il primo film di Kaurismäki della cosiddetta trilogia dei perdenti (conosciuta anche come trilogia del proletariato), di cui fanno parte anche Ariel e La fiammiferaia. Matti Pellonpää e Kati Outinen – collaboratori fedelissimi del regista – interpretano i protagonisti di un’insolita commedia romantica che, ancora una volta, prende le mosse da un preciso disagio esistenziale derivante, in primo luogo, dalla precarietà lavorativa dei due personaggi. Nikander è un autista per un servizio di nettezza urbana, mentre Ilona è una cassiera di un supermercato. I due cercano di avviare una relazione sentimentale, ma diversi eventi e circostanze continuano ad allontanarli. Nel porre al centro le difficoltà nel confronto con l’Altro, Kaurismäki realizza con Ombre nel paradiso un emozionante affresco sull’incomunicabilità, uno sguardo profondo su due anime affini tenute a freno da un clima sociale asfissiante che non permette loro di esprimersi a dovere.
Amleto si mette in affari (1987)
Dopo aver adattato Dostoevskij nel suo film d’esordio, con Amleto si mette in affari Aki Kaurismäki si dedica ad una rilettura singolare e sopra le righe dell’Amleto di William Shakespeare. Il fulcro fondamentale di questa versione atipica della tragedia shakespeariana è di nuovo la società finlandese con le sue ipocrisie e le sue contraddizioni. Il punto di partenza è la morte del padre di Amleto, orchestrata dalla spietata madre Gertrud e dall’amante Klaus con l’obiettivo di ottenere le quote di maggioranza della sua azienda. Il piano tuttavia fallisce nel momento in cui è Amleto ad ereditare il tutto. Quello che segue è un’incursione sfacciata e senza peli sulla lingua sulle derive capitalistiche più malsane del tessuto sociale contemporaneo, in un’operazione parzialmente distante dallo stile tipico dei lavori del regista ma sempre in linea con la sua poetica cinematografica.
Ariel (1988)
Il secondo capitolo della trilogia dei perdenti, dopo Ombre nel paradiso, è Ariel. Il film vede come protagonista Taisto (interpretato da Turo Pajala), un minatore che si ritrova senza occupazione dopo che la miniera in cui lavorava viene improvvisamente chiusa. Derubato di tutti i suoi risparmi, salvo per la Cadillac bianca ereditata dal padre morto suicida, Taisto viene trascinato – insieme allo spettatore – in una sorta di After Hours in salsa finlandese. Non c’è tregua, infatti, per l’uomo che, dalla povertà alla prigione, dall’impossibilità di trovare un nuovo impiego alla sua nuova “carriera” come criminale, si ritrova a dover affrontare una dopo l’altra difficoltà apparentemente insormontabili. Le sue uniche ancore di salvezza, la compagna Irmeli e l’amico Mikkonen, rappresentano ancora una volta l’importanza, sottolineata a più riprese dal regista nel suo cinema, della vicinanza e dell’incontro con l’alterità, nel bene e nel male.
Leningrad Cowboys Go America (1989)
Leningrad Cowboys Go America è uno degli episodi più singolari e sopra le righe dell’intera carriera di Aki Kaurismäki. I protagonisti del film, i Leningrad Cowboys, sono una band nata per scherzo nel 1986 da un’idea del regista e di due musicisti del gruppo comedy rock Sleepy Sleepers, Sakke Järvenpää e Mato Valtonen, con l’obiettivo di sbeffeggiare apertamente l’Unione Sovietica. Già protagonisti di alcuni cortometraggi e video musicali diretti sempre da Kaurismäki, i Leningrad Cowboys – caratterizzati da un look stravagante, dalle scarpe a punta ai baffi pronunciati e ai ciuffi in stile pompadour – riescono ad imprimersi con vigore nell’immaginario kaurismakiano con un film esplosivo e dai toni fortemente surreali che mette in scena le loro folli avventure negli Stati Uniti alla scoperta del rock ‘n’ roll, guidati dal dispotico manager Vladimir (interpretato dall’immancabile Matti Pellonpää).
La fiammiferaia (1990)
Diversamente dalla leggerezza e dai toni scanzonati di Leningrad Cowboys Go America, La fiammiferaia appare invece come il film più duro e cupo dell’intera filmografia del regista finlandese. Protagonista del film, ultimo capitolo della trilogia dei perdenti, è Kati Outinen nei panni di Iris, una donna che lavora in una fabbrica di fiammiferi. Costantemente umiliata, sfruttata e abusata dai genitori, Iris vorrebbe fuggire dalla soffocante routine in cui si trova intrappolata, ma nemmeno l’incontro con un uomo, Aarne, e la sua conseguente gravidanza sembrano migliorare la sua situazione. Gli echi di Jeanne Dielman, 23, quai du Commerce, 1080 Bruxelles di Chantal Akerman permeano l’intera opera, un film di solitudine, di tormenti interiori ed esteriori dove il fuori campo (specialmente nelle sequenze conclusive) risulta importante tanto quanto ciò che è immediatamente visibile.
Ho affittato un killer (1990)
Ho affittato un killer è la prima produzione di Kaurismäki a non essere legata interamente al suo Paese. Ambientato a Londra, infatti, il film vede come protagonista Jean-Pierre Léaud nel ruolo di Henri Boulanger, un immigrato francese che dopo molti anni di lavoro come dipendente pubblico viene licenziato senza preavviso. Henri vorrebbe farla finita ma non riesce a trovare la forza di suicidarsi, allora ingaggia un killer professionista che, però, si trova a sua volta a dover fare i conti con una situazione personale complicata. Oltre ad essere un’ulteriore esplorazione dei drammi di figure isolate, sole e ai margini, Ho affittato un killer è una commedia nera che ragiona sul rapporto conflittuale tra il libero arbitrio e le trame del fato in un contesto dove i personaggi, anche a causa del loro deleterio statuto sociale, non sono mai pienamente in controllo delle loro azioni.
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Daniele Sacchi