C’è un film uscito in Italia lo scorso 11 gennaio di cui si è sentito poco parlare. È un film d’azione con poca trama e tante botte, in cui storia e recitazione sono ridotte al minimo essenziale per procedere quel tanto che basta per arrivare alla rissa successiva. Un film di cui si trovano poche recensioni online, bistrattato dalla critica ed eclissato nelle discussioni dai ritardatari del 2023 o dalle polemiche sugli Oscar. È una di quelle opere che non lasceranno il loro segno nella storia del cinema eppure, a suo modo, è un film molto interessante che sta andando molto bene al botteghino, soprattutto quello americano. Stiamo parlando di The Beekeeper, l’ultimo film di David Ayer con protagonista Jason Statham.
Eloise Parker è un’anziana semplice e pura. Vedova, ex-insegnante del liceo ritiratasi al pensionamento, ora vive in una cascina nella campagna del Massachusetts, gestisce una miliardaria associazione benefica che aiuta i bambini e affitta il suo capanno a Adam Clay (interpretato da Statham), un tranquillo, ruvido e refrattario apicoltore. La sfortunata Eloise cade vittima di una truffa online, non cliccando il pop-up sbagliato o tramite le mail di qualche fantomatico principe africano, ma per mano di preparatissimi yuppies hacker, che dall’antro oscuro in cui lavorano (che non è in un altro continente, ma in una città a pochi chilometri da dove vive la donna) riescono a rubarle tutti i suoi risparmi, compresi i fondi della sua associazione.
Sopraffatta dallo sconforto, la donna si toglie la vita, ma il suicidio di un’anziana ingannata da truffatori digitali è un crimine ormai all’ordine del giorno, poco interessante per la polizia che è rapida a chiudere il caso. La sua morte passerebbe così impunita, ma ci sono due persone che non sono disposte ad accettare questa situazione: la figlia Verona Parker (Emmy Raver-Lampman), che per un incredibile coincidenza è anche una importante agente dell’FBI che si occupa di crimini informatici (ma anche di molte altri crimini a giudicare dall’enorme libertà che le viene concessa all’interno dell’associazione) e lo stesso Adam Clay, il quale si rivela essere un Beekeeper, un’agente di un’organizzazione super segreta, non governativa, che ha il compito di proteggere il sistema.
Lo scopo di questi agenti altamente addestrati è eliminare le minacce esterne impedendo che l’alveare collassi, ma a volte potrebbero rivelarsi troppo zelanti e voler eliminare la regina per preservare la salute della colonia. Tra confuse nozioni di pseudo-allevamento, fantapolitica, e gli spiegoni degli agenti dell’FBI, Clay si fa largo a suon di pugni scalando i ranghi dell’organizzazione che ha causato la morte dell’amica, risalendo una piramide di corruzione fino a cercare di epurarne il vertice: la presidente degli Stati Uniti d’America e suo figlio.
Il cinema popolare, e quello action in particolare, è sempre stato un utile termometro par valutare l’umore del grande pubblico americano. A seconda del successo o meno di queste pellicole, si riescono a intravedere determinate tendenze che innervano la società. È molto interessante allora che, in un periodo in cui gli incassi cinematografici continuano ad essere scarsi, una delle sorprese al botteghino sia un film in cui un vecchio uomo bianco, indurito dal lavoro manuale e agricolo, si dimostra essere l’unica persona in grado di raddrizzare i torti di un paese corrotto a causa della debolezza di una presidente donna. Troppo emotiva e sentimentale, quest’ultima infatti non è stata in grado di riconoscere la corruzione che il figlio ha reso endemica, manipolando e contaminando istituzioni che proteggono i criminali (giovani, pigri, avari e arricchiti con i facili lavori via web) e non tutelano i cittadini onesti (anziani, integerrimi, che hanno passato la vita a svolgere duri lavori tradizionali).
The Beekeeper parla a quella fascia di popolazione che non si riconosce più in determinati temi che hanno alimentato il dibattito intorno a numerosi prodotti mainstream degli ultimi anni. Lo fa sfruttando alcuni capisaldi del trumpismo che lo stesso ex-presidente statunitense utilizza per la sua campagna, come l’idea conservatrice che ci voglia un uomo forte e virile per raddrizzare una nazione allo sbando fin dai suoi vertici, l’incapacità delle donne a ricoprire ruoli di potere (sfruttato tanto nella campagna contro Hillary Clinton quanto nelle attuali primarie con Nikki Haley), o l’idea che l’attuale presidente sia stato eletto tramite metodi illegali e finanziamenti oscuri e criminali. Quest’ultima idea diventa evidente nello scambio di battute tra il criminale interpretato da Josh Hutcherson e la madre presidente: «tu sei qui solo grazie a me»; «lo so, questo lo sanno tutti».
Se durante il mandato di Obama il presidente era un asset da proteggere e tutelare, al punto da spingere alla produzione di ben due saghe in cui la Casa Bianca viene assalita e un militare deve salvare la massima carica statunitense dai terroristi (Olympus Has Fallen con Gerard Butler e White House Down con Channing Tatum, entrambi del 2013), oggi le cose sono cambiate. Se il presidente non è in grado di vedere il male che il suo mandato nasconde, allora spetta ai cittadini ribellarsi. Forse Clay non è uno degli sprovveduti che hanno assaltato Capitol Hill, ma le idee che lo muovono sono in qualche modo simili. The Beekeeper è un film interessante, indicativo di una tendenza di mercato che potrebbe essere seguita anche da altri produttori nel prossimo futuro, allo stesso tempo capace di stimolare riflessioni e considerazioni sullo stato di salute del cinema mainstream americano, questo però se si vuole guardare in profondità. La superficie resta quella di un generico picchiaduro cinematografico, che punta solo sul carisma di Statham per reggere un’impalcatura traballante, che riesce persino ad essere confusionaria nella sua semplice linearità.
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Gianluca Tana