Laura Poitras, premio Oscar per il meraviglioso documentario Citizenfour su Edward Snowden, è per la prima volta in concorso alla Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia con All the Beauty and the Bloodshed. Il nuovo documentario della regista bostoniana ricalca gli schemi tipici del giornalismo d’inchiesta – perseguiti non solo in Citizenfour ma anche in Risk nell’esame della figura di Julian Assange e dello scandalo WikiLeaks – per esplorare da vicino il lavoro della fotografa e attivista Nan Goldin.
In continuità con i suoi lavori precedenti, Poitras ha concepito l’opera come un atto di denuncia nei confronti della famiglia Sackler ripercorrendo lo scandalo farmaceutico relativo all’Oxycontin e alle morti da oppioidi, una delle battaglie principali condotte da Nan Goldin nel corso degli anni. In un’ottica più ampia, al centro del film troviamo l’analisi di un periodo storico – dagli anni ’60 sino ad oggi – esaminato attraverso uno sguardo singolare. Poitras, infatti, cerca di affiancare costantemente la produzione artistica di Nan Goldin con il suo forte impegno sociale, nel tentativo di tracciare un percorso in grado di unire gli elementi personali della vita della fotografa con elementi più universali che mirano invece a restituire il senso complessivo di un’epoca.
A tal proposito, All the Beauty and the Bloodshed – come anche il titolo suggerisce – esplora le bellezze e allo stesso tempo le contraddizioni di un periodo inquieto, prendendo le mosse dal vissuto difficile di Nan Goldin a partire dal rapporto con la famiglia e con la sorella Barbara, morta suicida in giovane età, sino ad arrivare ai turbolenti anni della gioventù, trascorsi sulla strada e nelle case chiuse. In questo viaggio alla scoperta di un’artista straordinaria, Poitras non manca di sottolineare gli inevitabili intrecci tra le diverse sottoculture underground che hanno influenzato la sua vita e, di conseguenza, la sua produzione fotografica, in un’epoca durante la quale la liberazione sessuale si scontra con stigmatizzazioni e tentativi di oppressione da parte di chi vuole imporre la propria visione del mondo sugli altri.
Sotto un altro profilo, invece, ci sono figure che speculano direttamente sulla morte e sulla sofferenza. Nan Goldin, nella sua lotta contro l’epidemia di oppioidi che imperversa irrefrenabile negli USA, dimostra di non avere paura di queste realtà corporative, opponendosi con vigore ed in prima persona alle loro pretese prevaricatrici. Non è solo una questione strettamente personale, dal momento che la fotografa stessa ha sofferto di dipendenza dall’ossicodone, ma si tratta proprio di una battaglia di princìpi. E i princìpi coltivati lungo tutto il corso di una vita intera sono quelli di una donna e di un’artista che ha reso la politica della corporeità uno dei suoi temi portanti. Non stupisce, quindi, la sua lotta rigida ed intransigente per la difesa dell’integrità dei corpi e delle vite di chi soffre.
Daniele Sacchi