“Antiporno” di Sion Sono – Recensione

Antiporno

Sarebbe inutile aspettarsi qualcosa di preciso da Sion Sono, figura poliedrica ed eclettica che ha fatto dell’imprevedibilità uno dei suoi mantra. Con Antiporno (2016), il regista giapponese si cimenta questa volta nel pinku-eiga, in un’operazione di rilancio del genere attuata dallo studio di produzione Nikkatsu, che a partire dagli anni ’70 aveva realizzato numerose pellicole di questo tipo. Com’è lecito aspettarsi da un autore come Sono, Antiporno non si presenta tuttavia solo come un film erotico softcore a basso budget ma prima di tutto come un’indagine, sottile e a tratti imprevedibile, sul ruolo della donna nella società giapponese, sulle imperanti tensioni maschiliste che ne influenzano i processi di legittimazione e sulla sua autopercezione.

Per farlo, Sono racconta in Antiporno il rapporto morboso tra un’artista di nome Kyōko (Ami Tomite) e la sua assistente Noriko (Mariko Tsutsui), una relazione di dominio e di sottomissione che tuttavia ha come conseguenza effettiva il mettere in risalto le insicurezze e i dubbi della stessa Kyōko. Soffermandosi in particolar modo sul senso di angoscia che la ragazza percepisce nei confronti delle attese che il suo pubblico possiede verso il suo lavoro, Sono sembra dunque inizialmente percorrere un sentiero che vede nella giovane artista una figura intrappolata nel ruolo che si trova a rivestire, un ruolo che paradossalmente si allontana dal volersi identificare nella concezione più poetica dell’artista che produce l’arte per il puro voler far arte, assumendo invece i tratti di un processo di mera riduzione ad oggetto.

Servizi fotografici e interviste si inseriscono a tal proposito nel discorso del regista giapponese come un’ulteriore modalità inibitoria del senso più puro dell’essere artista, e parallelamente dell’essere donna. In tal senso, il corpo femminile viene ridotto a un corpo che, per essere identificato, necessita di essere esposto attraverso la sua nudità: per potersi identificare come tale deve essere sottoposto alla mercé dello sguardo maschile, istituendosi a tutti gli effetti come un oggetto che richiede la proprietà del poter essere posseduto come sua caratteristica fondante. Kyōko dunque si crede libera nel produrre la sua arte, ma non è nient’altro che un burattino in mano ad un sistema più grande, che la manovra apertamente e senza celarsi.

Antiporno

Forte in tal senso è il ribaltamento di prospettiva che Sion Sono attua a metà del suo film, subentrando in un terreno metacinematografico che, se nella prima parte sembrava solamente accennato, in seguito si presenta nella sua estrema concretezza. Ad un certo punto, infatti, viene rivelato come le due donne siano in realtà sul set di un film pornografico e come, nella realtà, il loro rapporto sia esattamente l’opposto di quello presentato sino ad ora. Noriko è frustrata da quella che percepisce come una sorta di inettitudine amatoriale da parte dell’attrice inesperta Kyōko, sottoponendola dunque a continue umiliazioni che, peraltro, vengono supportate dalla troupe del film stesso, composta interamente da soli uomini. Il sovvertimento narrativo è totale, ma il messaggio di fondo resta immutato, e, anzi, assume un’enfasi ancora maggiore.

A partire da questo momento infatti, le sequenze che dovrebbero far parte del film e quelle che dovrebbero essere reali si sovrappongono frequentemente l’un con l’altra, legate indissolubilmente dal carattere denigratorio al quale la figura femminile viene costantemente sottoposta. Nei momenti in cui Kyōko o Noriko subordinano l’altra a subire violenza, si evidenzia inoltre come entrambe siano vittime del sistema che le ha plasmate, mettendo in scena attraverso il loro atteggiamento la corruzione profonda che l’imitazione compulsiva dei comportamenti di controllo e di dipendenza propri dell’uomo maschilista ha generato.

Irriverente e provocatorio, Sion Sono realizza pertanto con Antiporno un esperimento interessante, nel quale, con il suo stile complesso e multiforme, riesce tuttavia a mettere in luce con chiarezza le contraddizioni più evidenti della società giapponese e in parte anche di quella occidentale. Senza per questo voler essere un’opera esaustiva sul tema, Antiporno risulta in ogni caso un brillante esempio di cinema thought-provoking, incisivo e che ci porta a riflettere su noi stessi e su ciò che ci circonda.

Daniele Sacchi