Con Armand, il regista esordiente Halfdan Ullmann Tøndel ci consegna un’opera tanto inquietante quanto affascinante, una sorta di indagine socio-psicologica che si dissolve gradualmente in territori inaspettati e onirici. Premiato con la Caméra d’Or al Festival di Cannes 2024, il film si pone infatti a metà strada tra un rigoroso, cupo e glaciale realismo sociale e un’evanescente poesia visiva, individuando in particolar modo il suo cuore pulsante nella performance magnetica di Renate Reinsve.
Le vicende narrate in Armand prendono le mosse da una premessa volutamente ambigua e disarmante. Un incidente avvenuto tra due bambini in un bagno scolastico si trasforma in un incontro-scontro tra i genitori, con la scuola che diventa un vero e proprio palcoscenico nel quale vengono messe a nudo dinamiche familiari, antichi rancori e inquietudini mai sopite. In un’atmosfera a tratti claustrofobica, Reinsve interpreta Elisabeth, una madre tormentata e sfuggente tesa tra l’angoscia e il sarcasmo, in una prova attoriale sfaccettata e sempre ben calibrata (nonostante gli eccessi di alcune singolari sequenze).
Il film si apre dunque come un dramma borghese – praticamente un dramma da camera di impostazione teatrale – che si concentra sulle tensioni relazionali, nonché sui tabù dell’infanzia e della genitorialità. Tøndel è particolarmente abile nel costruire un’atmosfera pesante e disturbante, nel tentativo di trascinare lo spettatore in un microcosmo costantemente sospeso e carico di tensione. Il regista norvegese, figlio della giornalista e scrittrice Linn Ullmann e nipote di Liv Ullmann e Ingmar Bergman, dimostra di possedere uno stile molto personale, che emerge quando il film inizia a fratturare progressivamente la sua struttura apparentemente lineare (non senza qualche sbavatura, specialmente nella gestione dei ritmi narrativi).
La seconda metà di Armand, da questo punto di vista, si abbandona spesso a sequenze oniriche e simboliche che sfidano il realismo iniziale, lasciando spazio a interpretazioni più viscerali e astratte. Un momento chiave è rappresentato da una danza surreale di Elisabeth, che incarna (forse) un tentativo di purificazione emotiva, ma anche dal suo risolino improvviso e dissonante che spiazza sia i suoi interlocutori sia lo spettatore. Nonostante non sia sempre a fuoco nei suoi percorsi ondivaghi, Armand rimane un’operazione coinvolgente, in particolar modo grazie alle interpretazioni impeccabili del cast. Reinsve si riconferma una delle attrici più talentuose del panorama cinematografico nordico, navigando con abilità tra i registri emotivi di un personaggio complesso e insondabile, ma anche le interpretazioni di Ellen Dorrit Petersen e di Endre Hellestveit – nei panni dei genitori dell’altro bambino coinvolto – offrono una controparte emotiva altrettanto valida, arricchendo il film di sfumature sottili e di conflitti inespressi.
Con il suo debutto, Halfdan Ullmann Tøndel dimostra un’indubbia maestria tecnica e un coraggio creativo. Tøndel rivela un talento istintivo nel manipolare il linguaggio visivo per esplorare i confini tra realtà e immaginazione, non offrendo mai risposte chiare o sicure, bensì insinuando nella mente dello spettatore le sue immagini incerte (pensiamo, tra le tante, al giubbotto rosso di un bambino, appeso nel corridoio della scuola), le quali si impongono come sparuti frammenti di senso caratterizzati da una forza insolita, dall’aura misterica, simbolica, liminale.
Daniele Sacchi