In questi ultimi tempi, la realtà che stiamo vivendo ha assunto delle tinte distopiche che mai ci saremmo potuti immaginare. Vivere una pandemia mondiale, fino a poco tempo fa, era qualcosa che potevamo esperire solamente nei film, nei romanzi o comunque in opere di finzione. Termoscanner, termometri, mascherine, distanziamento sociale… e se il virus fosse molto più che una malattia trasmissibile per via aerea? E se il virus in realtà esistesse da molto più tempo e si celasse proprio dentro quella socialità che tanto ci è mancata? Zack Snyder torna ai suoi esordi – le atmosfere di Dawn of the Dead (2004), discutibile remake dell’omonimo film di George Romero – con Army of the Dead, lungometraggio post-apocalittico in cui una squadra di mercenari dovrà cercare di irrompere in una cittadina popolata da zombie “evoluti” per recuperare una grande somma di denaro da un caveau abbandonato.
Il regista sceglie di non raccontare nel dettaglio l’inizio di questa particolare pandemia creatrice di non-morti ma, nella lunga sequenza iniziale, mostra allo spettatore come questo pericolo sia riuscito a dilagare globalmente per futili motivi. Sembreranno dettagli di poco conto, ma la scelta di non raccontare la nascita effettiva del “paziente 0” e di optare per un pretesto più banale come punto di partenza dell’intera vicenda è, forse, l’elemento più interessante dell’intera diegesi narrativa. Non raccontare l’effettiva causa scatenante in un momento storico così particolare e in una tipologia di film di genere come questo, è sicuramente una scelta su cui riflettere. Probabilmente, come Romero fece per il capolavoro di Zombi, questa decisione contiene al suo interno una critica sociale non di poco conto sui tempi che stiamo vivendo e non per forza correlati alla pandemia in atto oggi. Il virus che ci affligge esiste, mentre la popolazione ne viene tenuta all’oscuro, protetto da segreti di Stato non condivisibili nemmeno con i militari che stanno trasportando una potenziale arma di distruzione di massa: non si tratta, quindi, di un’accidentalità ma di una vera e propria operazione militare segreta che, però, scatena uno scenario apocalittico molto grave e con conseguenze più che allarmanti.
Anche per quanto riguarda il mancato contenimento della minaccia incombente, Snyder ci pone davanti una situazione paradossalmente assurda. Il moto che scatena la vicenda chiave di Army of the Dead riguarda un futile motivo, un incidente automobilistico legato al “divertimento” di una coppia che sta procedendo nella direzione opposta rispetto al plotone militare. Ecco, quindi, che la segretezza di una potenziale arma insieme alla pericolosa inconsapevolezza della popolazione portano ad uno sconvolgimento degli equilibri globali e alla diffusione di un virus così pericoloso e difficile da controllare. Anche il finale del film continua su questa linea di pensiero, preparando lo spettatore ad altri possibili capitoli futuri di Army of the Dead. Ma Snyder non si ferma solamente ad una riflessione riguardo il virus in quanto tale, ma si spinge oltre, mostrando come (per poter sopravvivere) tutti coloro che “prima” ricoprivano un ruolo completamente diverso da quello di mercenari, ora si debbano unire per cercare di contrastare l’avanzata inesorabile dei non-morti. Proprio per questo motivo, il regista presenta il suo film con una lunghissima introduzione musicata dove, oltre a presentare uno per uno i membri della squad ammazza mostri, anticipa anche alcuni sviluppi riguardanti il film stesso.
Sicuramente l’idea di portare avanti un genere già largamente esplorato da registi e film di successo è veramente coraggiosa ma, probabilmente, oggi bisognerebbe avere uno sguardo più critico dal punto di vista narrativo. Non basta creare una categoria di zombie “alfa”, più intelligenti e forti, per essere innovativi in un genere così inflazionato come quello legato alla tradizione dei non-morti. Il fatto di inserire degli zombie intelligenti pare, inoltre, una scelta forzata ed errata. Il fascino di un esercito di non-morti è che questi non siano in alcun modo dotati di una determinata consapevolezza d’agire in quanto, per l’appunto, si tratta di morti che camminano. Insomma, Zack Snyder ha provato a cimentarsi nuovamente in un genere a lui molto caro ibridandolo con un basilare heist movie. Il prodotto finale risulta privo di identità e di tensione, seppur con qualche elemento interessante di partenza, ma senza alcuno sguardo proiettato nel futuro.
Erica Nobis