Vagamente ispirato all’Hollywood Babilonia raccontata nell’omonimo libro di Kenneth Anger (tanto storicamente attendibile quanto Fast and Furious come documentario sulle auto sportive), Babylon, il nuovo film di Damien Chazelle, è un monumentale racconto che abbraccia quasi trent’anni di storia di cinema hollywoodiano, dall’epoca del muto fino alle soglie degli anni ’60.
Il punto di partenza è la Hollywood del 1926. Durante una gargantuesca festa all’insegna di sesso, droga ed eccessi, si incrociano le vite di quattro persone legate all’ambiente cinematografico: il divo del muto Jack Conrad (Brad Pitt) in procinto di affrontare l’ennesimo divorzio, l’attrice in erba Nellie LaRoy (Margot Robbie) con il suo sogno di diventare una grande star, il jazzista afroamericano Sidney Palmer (Jovan Adepo) e il tuttofare Manny Torres (Diego Calva). La serata termina, le strade si dividono, ma nel corso dei trenta anni successivi le vite dei quattro si incroceranno continuamente, portandoli a toccare con mano la magia della macchina dei sogni, salvo poi finire per essere rigettati di prepotenza nella cruda realtà di tutti i giorni, in una parabola tipica chazelliana che si propone come una (supponente) lettera d’amore al grande cinema hollywoodiano.
Jack Conrad e Nellie LaRoy potrebbero a prima vista apparire come l’esatto opposto del tipico protagonista chazelliano. Se Neil Armstrong (First Man), Sebastian (La La Land) e Andrew (Whiplash) sono uomini seri, stacanovisti e totalmente dedicati al lavoro e alla preparazione (al punto da sacrificare ogni altro aspetto della loro vita), i due attori di Babylon sono invece vanesi, edonisti, totalmente schiavi dei loro vizi, dei loro difetti e, soprattutto nel caso di Nellie LaRoy, assolutamente incapaci di migliorarsi. Eppure, anche loro non sono nient’altro che un distorto riflesso di quell’etica lavorativa, di quella dedizione totale al lavoro che è sempre stato il grande tema centrale dei film di Chazelle.
Come tutti i suoi personaggi, anche i due attori vivono esclusivamente per il lavoro, arrivando a distruggere ogni affetto, ogni legame, ogni relazione che non ha a che fare con questo. La parabola discendente che li riguarda è la conseguenza dell’impossibilità di continuare il proprio sogno, dell’impossibilità di poter lavorare, e l’esito delle loro storie sono qualcosa che avremmo benissimo potuto vedere in Whiplash se ad Andrew fosse stata negata la possibilità di far musica, o in La La Land se Sebastian non fosse riuscito a coronare il suo sogno. Di proposito o meno, Chazelle con i suoi film ci racconta una delle grandi piaghe della società contemporanea: l’impossibilità di accettare un fallimento.
A tal proposito, nel suo Realismo capitalista, Mark Fisher affermava che oggigiorno «abbastanza non è più abbastanza» e che esistono solo due realtà: la perfezione o il fallimento. Ma la perfezione non è soltanto una meta utopica, difficilmente raggiungibile, è anche una strada che richiede enormi e sacrifici, ed è in virtù di questo che il mancato raggiungimento dei propri obiettivi non può che essere colto dall’individuo che con una sensazione di malessere, di disagio interiore che, se portato alle estreme conseguenze, induce alla depressione, alla psicopatologia. Frammentati tra i loro personaggi, senza un solido appoggio a sostenerli, Jack e Nellie intraprendono l’ultima strada possibile per l’affermazione della propria identità in una società che li sta progressivamente rifiutando.
L’alternativa al loro destino è rappresentata dagli altri due protagonisti di Babylon, Manny Torres e Sidney Palmer, i quali si trovano a loro volta estromessi dalla possibilità di coronare il sogno di lavorare nel cinema e devono ridimensionare le proprie aspettative. Come? Con la rinuncia totale al sogno, riformulando completamente la loro vita. La sconfortante prospettiva che Damien Chazelle ci mostra in Babylon è che nella società contemporanea solo due vie sono possibili: ottenere il lavoro dei nostri sogni a scapito di ogni altro affetto e della sanità mentale o il mantenimento di una sana vita affettiva al prezzo della rinuncia alle nostre aspirazioni. Ciò che Chazelle esclude totalmente è la convivenza di queste due realtà.
Gianluca Tana