Il maestro del surrealismo Luis Buñuel ha sempre mantenuto nel corso della sua lunga e prolifica carriera uno spirito dissacrante e profondamente antiborghese. Bella di giorno, vincitore del Leone d’oro al Festival di Venezia del 1967 e uno dei film maggiormente di successo del regista (sia per la critica sia dal punto di vista commerciale), prosegue il discorso centrale della produzione artistica di Buñuel, tesa nel tentativo di smascherare le verità celate di una classe sociale in costante contraddizione con se stessa. Bella di giorno emerge nella filmografia del cineasta spagnolo in un periodo che lo vede muoversi tra due spazi intrinsecamente molto differenti tra loro, il Messico e la Francia, località che Buñuel cerca di unire attraverso una precisa continuità tematica nell’esplorazione delle differenze di classe e delle manifestazioni del desiderio umano.
Bella di giorno è a tal proposito ambientato nella Parigi degli anni ’60 e racconta il disagio esistenziale di Séverine (Catherine Deneuve), una donna facente parte dell’alta borghesia in forte crisi con la propria sessualità. Belle de jour è il titolo originale francese, un gioco di parole che modifica l’espressione belle de nuit (“bella di notte”), la quale oltre ad indicare una pianta specifica veicola in gergo il significato di prostituta. È proprio nella prostituzione che Séverine – che in virtù del suo lavoro diurno diventa appunto bella di giorno – cerca di evadere dall’opprimente realtà quotidiana, evidentemente non più soddisfatta, da un punto di vista affettivo e sessuale, dal marito Pierre (Jean Sorel).
Sin dalla sequenza di apertura, è chiaro come Buñuel sia interessato a raccontare il tormento di Séverine non solo nella mera esposizione dei fatti, ma anche e soprattutto attraverso una diretta rappresentazione del suo mondo interiore. Il film si apre con Séverine e Pierre su una carrozza, con quest’ultimo che intima improvvisamente ai cocchieri di fermarsi. I due uomini, su ordine di Pierre, trasportano Séverine in un bosco, la legano e iniziano a frustarla, per poi abusare di lei. Come diventa presto evidente dopo lo stacco, la sequenza è immaginaria e rappresenta una perversione masochistica di Séverine. Buñuel ricorre frequentemente alla frattura tra il reale e l’immaginario per costruire una narrazione incerta, narrazione all’interno della quale ogni componente potrebbe essere fittizia, finendo dunque per attribuire alla consequenzialità del montaggio la funzione di validare o meno ciò che appare su schermo.
Bella di giorno in tal senso non usa mai i propri elementi surreali in un modo autoreferenziale e vacuo, ma per accentuare in una maniera visibile, concreta e materiale il disagio di Séverine. La donna, fredda e distante, alienata e apatica, sembra imperturbabile ad ogni evento, ma la scoperta casuale dell’esistenza di una casa chiusa, gestita da Madame Anaïs (Geneviève Page) sembra risvegliare in lei il desiderio perduto. Progressivamente, nella riscoperta della propria dimensione sessuale, Séverine ritrova un motivo per cui vivere, come lei stessa dichiara in una sequenza all’amico del marito Henri (Michel Piccoli).
Nel percorso che porta Séverine incontro a questa consapevolezza, Buñuel inserisce un’analogia tra la parvenza di sé che la classe borghese vuole dare e il suo effettivo essere. Per riscoprire il proprio statuto di persona, Séverine sente il bisogno di diventare oggetto del desiderio altrui, desiderio che a sua volta si trova ad essere irrimediabilmente guidato da un irrefrenabile impulso autodistruttivo, per quanto legittimante da un punto di vista esistenziale. La sessualità diventa commento sociale per Luis Buñuel, nell’analisi di una borghesia che cerca di reprimere le proprie pulsioni ma che, nel segreto della casa chiusa, non può far altro che manifestarle sensibilmente, in un’ulteriore metafora, implicita ma presente, tra l’esercizio del potere e la sessualità.
Quest’ultima, nelle modalità in cui viene rappresentata – dalla necessità protettiva del segreto alla violenza sadomasochista che la configura – si manifesta dunque in quelli che appaiono come i confini estremi di una tagliente critica sociale, nella quale l’appartenenza ad una posizione privilegiata non sembra legarsi alcuna forma di unità e di controllo. Dal punto di vista della collettività, le conseguenze di un’inettitudine strutturale di questo tipo da parte di chi detiene la fonte del potere, il denaro, sembra essere un problema estremamente grave, ma nel caso di Bella di giorno Buñuel si limita ad accennare questi temi, lasciando un maggiore spazio al dramma di Séverine – pensiamo, tra le altre cose, alla sua avventura con Marcel (Pierre Clémenti) – e aspettando un momento migliore, che si materializzerà in seguito in uno dei più grandi capolavori del regista, Il fascino discreto della borghesia (1972), del quale Bella di giorno è tuttavia antesignano.
Daniele Sacchi