Better Man di Michael Gracey, la recensione

Better Man

Un biopic su un personaggio vivente, parzialmente interpretato dallo stesso personaggio in questione, può funzionare? Le premesse di Better Man sulla carta non sarebbero delle migliori, ma grazie a una trovata interessante e un’ottima impostazione da musical, il risultato finale è un film sorprendente, divertente e sentimentale (ma a tratti anche brutale) nel raccontare i retroscena di una delle più grandi popstar di sempre: Robbie Williams.

L’autoironia è la virtù di chi riesce a superare e controllare i propri traumi, di chi trasforma la propria diversità in unicità. Robbie Williams si è sempre sentito «meno evoluto degli altri», da qui la scelta di rappresentare il cantante come una scimmia antropomorfa. Proveniente da una periferia nel cuore dell’Inghilterra, figlio di un poliziotto che lo abbandona per perseguire una carriera da stand-up comedian, Robbie cresce ossessionato dall’idea di diventare qualcuno, per poi vivere il terrore di ricadere nel nulla da cui è riuscito a scappare con tanta fatica, rinunciando alla propria identità. Tra dipendenza da droga e una carriera galoppante nel mondo della musica, Better Man segue la vita personale e pubblica di una delle più famose popstar degli anni ’90 e 2000. Due aspetti che coesistono pur seguendo direzioni opposte, raccontati nel film attraverso i complessi retroscena di alcuni dei momenti più iconici della vita del cantante.

La trovata della scimmia è, senz’altro, uno degli aspetti più interessanti e meglio riusciti del film. Pur essendo un’interpretazione di un aspetto del personaggio, permette una certa universalizzazione della storia, distaccandosi in parte dal contesto in cui è inserita. La regia di Michael Gracey è sicuramente una carta vincente nella riuscita del film, soprattutto nella misura in cui presenta le canzoni di Williams non come meri elementi della colonna sonora, ma come parte integrante del racconto, messe in risalto da numeri e coreografie tipiche del musical e che risentono molto della cifra stilistica del regista di The Greatest Showman. Interessante anche la crossmedialità del titolo, che diventa anche occasione per il lancio del nuovo singolo del cantante, composto in occasione del film.

Il biopic è un genere insidioso: può scivolare facilmente in celebrazioni scontate, ma offre grandi opportunità espressive a chi le sa cogliere. I migliori biopic sono quelli capaci di reggersi anche senza una conoscenza pregressa del protagonista, raccontando storie che trascendono i fatti per raggiungere un livello di universalità. Film, insomma, in grado di stare in piedi a prescindere dalla veridicità o meno della narrazione o, meglio ancora, capaci di trovare e veicolare il lato “incredibile” di una storia vera. Questo è il caso di Better Man, un viaggio di crescita e redenzione che si dipana in un musical ben costruito e magnificamente interpretato. Per citare lo stesso Williams: «se vi piace quello che vedete allora è sicuramente tutto realmente accaduto, altrimenti è colpa del regista».

Alberto Militello