Da flop al botteghino a cult mondiale, Blade Runner si è trasformato negli ultimi anni in una vera e propria base fondativa per la nascita di un media franchise. Il capolavoro postmoderno di Ridley Scott (plasmato a partire da Il cacciatore di androidi di Philip K. Dick) ha di fatto subito un processo di espansione delle sue premesse costitutive attraverso i meccanismi transmediali tipici del contemporaneo, a partire dai fumetti editi dalla Titan Comics, passando per lo sviluppo di un’esperienza in realtà virtuale come Blade Runner: Revelations e arrivando infine alla serie tv animata di prossima uscita Blade Runner: Black Lotus.
Nessuna di queste operazioni sarebbe stata possibile senza la coraggiosa scelta di realizzare un sequel cinematografico effettivo dell’opera di Scott, il monumentale Blade Runner 2049 di Denis Villeneuve, uno dei rari casi di sequel “a distanza” che non gioca sull’effetto nostalgia ma che cerca invece di mettere mano al materiale originale di riferimento con vigore, passione e rispetto riuscendo allo stesso tempo a non fermarsi al passato ma a portare avanti un proprio discorso poetico ed estetico. Per promuovere il film di Villeneuve e, parallelamente, per tastare le possibilità di un ampliamento ulteriore dell’universo narrativo di Blade Runner – non stupisce, da questo punto di vista, la notizia recente dell’assunzione da parte di Alcon Entertainment di ben due figure professionali il cui lavoro consiste nel tenere traccia della continuity dei vari progetti (cfr.) – sono stati realizzati tre cortometraggi che vale la pena esaminare: Blade Runner: Black Out 2022, 2036: Nexus Dawn e 2048: Nowhere to Run.
Con la supervisione del regista canadese e degli sceneggiatori Hampton Fancher e Michael Green, i cortometraggi fungono da ponte tra il primo Blade Runner e il suo sequel, andando a far luce su alcuni aspetti di background che vanno ad arricchire il world building dell’emergente franchise. Blade Runner: Black Out 2022 di Shin’ichirō Watanabe è sicuramente l’operazione più interessante delle tre, un tentativo di coniugare le atmosfere del film di Ridley Scott con le suggestioni tipiche dell’animazione giapponese. L’acclamato regista di serie anime di successo come Cowboy Bebop e Samurai Champloo esplora un evento accaduto tre anni dopo la conclusione di Blade Runner e che funge da base narrativa per il film di Villeneuve, un black out elettronico orchestrato da due replicanti Nexus-8, più avanzati e più “simili” agli esseri umani rispetto, ad esempio, ad un Nexus-6 come il Roy Batty (Rutger Hauer) del film di Scott. La tragedia porterà ad una provvisoria messa al bando dei replicanti e alla chiusura della compagnia che li produce, la Tyrell Corporation.
Al di là dell’intreccio in sé, che prosegue a modo suo il dilemma identitario uomo-macchina, la peculiarità del corto di Watanabe è soprattutto la sua varietà stilistica e la capacità di creare un perfetto connubio e raccordo tra l’estetica anime e le sensibilità cyberpunk proprie di Blade Runner. Il personaggio di Trixie, ad esempio, è una “bambola” che per movenze ricorda la conturbante Pris (Daryl Hannah) del film di Scott ma che comunque non sfigurerebbe in un film di Satoshi Kon o in una produzione seriale dello stesso Watanabe (il quale non a caso è stato scelto come produttore creativo per la già citata Blade Runner: Black Lotus). Blade Runner: Black Out 2022 orienta lo sguardo spettatoriale in territori conosciuti riempiendoli però di nuove impressioni segniche, muovendosi dalla familiarità della pioggia e dei neon di Los Angeles sino ad arrivare ai contorni sfumati e impercettibili del pianeta coloniale Calantha. La colonna sonora di Flying Lotus, dal canto suo, segue lo stesso principio di fondo: il richiamo a Vangelis è nitido ma non è mai soverchiante, il lavoro del musicista statunitense è in linea con il rappresentato pur mantenendo allo stesso tempo una sostanziale eco di fondo nei confronti delle atmosfere originarie.
Per quanto riguarda 2036: Nexus Dawn e 2048: Nowhere to Run, ci troviamo invece di fronte a due corti stilisticamente molto più affini e continui a Blade Runner 2049. Diretti da Luke Scott (il figlio di Ridley Scott), già regista di alcuni cortometraggi di raccordo tra Prometheus e Alien: Covenant all’interno del media franchise ben più navigato di Alien, 2036: Nexus Dawn e 2048: Nowhere to Run si legano ancora più direttamente con il film di Villeneuve introducendo i personaggi di Niander Wallace (Jared Leto) e di Sapper Morton (Dave Bautista), risultando quasi come due flashback rimossi a posteriori dall’opera conclusa. Il corto di Watanabe, in tal senso, è molto più adatto ad una fruizione standalone, sia per l’estro registico sia per la lontananza temporale dell’evento raccontato.
In ogni caso, i due corti di Luke Scott non sono solamente propedeutici alla visione del film di Villeneuve, dal momento che riescono con delle brevi sequenze a dare una sostanza precisa ai personaggi di cui trattano, amalgamando il world building ad un preciso studio caratteriale. Nello specifico, in 2036: Nexus Dawn scopriamo della creazione dei replicanti Nexus-9 e della loro reintroduzione sul mercato dopo la messa al bando dei modelli precedenti nel post-Blade Runner: Black Out 2022. I sei minuti di runtime del corto sono sufficienti per tracciare la personalità demiurgica, industriale e spietata di Wallace, istituendo in parallelo una interessante relazione di specularità tra la sua cecità e l’occhio del replicante che lo accompagna, non più marchiato come in passato e virtualmente indistinguibile da un essere umano, se non per la sua totale fedeltà verbale che lo riposiziona come entità dominata dall’uomo, con la speranza così di evitare il fiasco della Tyrell Corporation.
2048: Nowhere to Run si pone infine come diretto antefatto dell’incipit di Blade Runner 2049, illustrandoci come il replicante Nexus-8 Sapper Morton sia finito per essere segnalato alle autorità. Come nel precedente 2036: Nexus Dawn, in pochissime sequenze ci viene concesso di entrare in stretto contatto con la sua figura. Da un lato, Sapper appare come indistinguibile da un essere umano. Lo vediamo soffrire nella sequenza iniziale, molto probabilmente colto dallo stress post-traumatico relativo all’assedio di Calantha mostrato in Blade Runner: Black Out 2022 (nel corto di Watanabe possiamo persino scorgere brevemente il suo volto), e in seguito non esita nell’aiutare una donna in pericolo. Dall’altro lato, la sua forza sovraumana non può che tradire la sua reale natura, proiettandoci ai margini estremi del film successivo, anticipandone i conflitti.
Non resta dunque che vedere cos’avrà ancora da dirci in futuro – cinematograficamente parlando, ma non solo – Blade Runner nella sua nuova veste di universo “espanso”, con la speranza che si proceda sempre più verso una direzione capace di unire una visione creativa precisa ed oculata al piacere della strizzatina d’occhio allo spettatore. Il percorso, in ogni caso, sembra essere già stato ben tracciato.
Daniele Sacchi