Sicuramente da Luca Guadagnino non potevamo aspettarci una storia che si limitasse a raccontare di competitività sportiva o una guida su come si conquista la vittoria, né tantomeno un film che analizzasse il tennis da un punto di vista tecnico. In Challengers il campo da tennis diventa molto di più, un palcoscenico di eros e pathos, il set essenziale di un duello alla western nonché un escamotage per dare prova di maestria registica e di come il cinema possa trasformare in arte visiva qualsiasi luogo.
Come per la maggior parte della filmografia di Guadagnino, al centro ci sono le relazioni e gli istinti umani, dominati da passione e imprevedibilità, tra tre personaggi perfettamente delineati. Siamo nel 2019, assistiamo a un match che vede a centro campo, tra la platea, Tashi Duncan (Zendaya), ex prodigio del tennis ritiratasi a causa di un infortunio e diventata poi coach del marito Art Donaldson (Mike Faist), a destra del campo, impegnato a sfidare l’ex compagno di gioco nonché ex amico Patrick Zweig (Josh O’Connor).
Il primo, mite e sottomesso alla moglie, superati i trent’anni è in fase di declino della propria carriera, tuttavia continua a giocare con scarso successo; il secondo, sfrontato e ribelle, è diventato un player di serie B non perché mancasse di talento, ma a causa di indolenza e incostanza. Entrambi sono accomunati dall’attrazione per Tashi, nata 13 anni prima, nel 2006, quando erano poco più che diciottenni, dopo aver assistito a un match vincente di lei. Quel momento altro non è che l’incipit di un melodrammatico triangolo sentimentale che ha preso forma nelle nostre menti grazie al frame che abbiamo avuto modo di vedere dal trailer e dalle prime immagini del film di Art e Patrick seduti sul letto di una stanza d’albergo con Tashi al centro (evidente riferimento visivo a The Dreamers di Bernardo Bertolucci).
Challengers è un crescendo di desiderio, sensualità, erotismo che mette in discussione l’autenticità dei rapporti, in un contesto dove ognuno è concentrato sul proprio obiettivo, così come ci si concentra sulla pallina da colpire con la racchetta. Per Art e Patrick, lo scopo non è quello di diventare stelle del tennis ma piuttosto quello di attirare lo sguardo di Tashi, sia 13 anni prima così come nell’attuale 2019. Per Tashi, invece, l’unico vero amore resta il tennis, più volte definito dalla stessa come una vera e propria relazione, a costo di coltivarla grazie a dinamiche corruttive.
L’intreccio tra le vite e le scelte dei tre protagonisti è scandito dall’alternanza di presente e passato grazie all’utilizzo di flashback, con un ritmo narrativo non lineare ma incalzante, che rende fluide e armoniose azioni e vicende. A fare da complice è soprattutto la colonna sonora electro-beat firmata da Trent Reznor e Atticus Ross, mentre la geometria del campo, l’ordine e il minimalismo degli spazi e dei corpi sono valorizzati dalla fotografia di Sayombhu Mukdeeprom. Sensazionali i virtuosismi di regia, in particolare nella scena finale, dove ralenti, primissimi piani sui visi grondanti di sudore, le soggettive della pallina da tennis e del campo che diventa improvvisamente una lastra di vetro, si alternano per creare un’intensità cinematografica tanto da far sembrare quasi tridimensionale il match decisivo.
L’antitesi e la complementarietà dei due giocatori, il cui rapporto viene cosparso dall’inizio alla fine da riferimenti omoerotici, l’ambizione e il cinismo della donna che tenta di fare da regista delle vite dei due, sono gli elementi che fanno di Challengers un fervente ménage à trois tanto umano quanto piacevolmente prevedibile, che, con un gioco di conflitti e ambizioni che vanno ben oltre lo sport, ci tiene letteralmente incollati allo schermo fino all’ultimo istante.
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Chiara D’Agostino