Dalla fine degli anni ‘90 ad oggi, il cinema horror ha goduto di un’inaspettata rinascita, ampliando continuamente i propri immaginari attraverso nuovi percorsi del terrore e instaurando un profondo dialogo con gli sviluppi sociali e culturali della contemporaneità. Lo sguardo tecnologico (e tecnofobico) del j-horror, le minacce oscure e indefinite dell’epoca post-11 settembre, le riflessioni sulla carne nell’era del torture porn e della New French Extremity, le nuove prospettive offerte da maestri come Jordan Peele, Ari Aster e Robert Eggers. E ancora: paranoie social, orrori cosmici, retoriche pandemiche e narrazioni folk.
Di tutto questo parlo nel mio libro dedicato al cinema horror contemporaneo (acquistabile a questo link), un lavoro di ricerca e di analisi che cerca di mappare gli scenari, le derive e le ossessioni del genere horror nel tentativo di comprendere qualcosa in più su noi stessi e sul mondo che ci circonda. Tra i film di cui ho discusso nel libro, eccone cinque che vale assolutamente la pena recuperare.
Kairo di Kiyoshi Kurosawa
In Kairo (conosciuto in occidente come Pulse), Kiyoshi Kurosawa rievoca i traumi irrisolti della storia giapponese – il riferimento è, soprattutto, a Hiroshima e Nagasaki – con un horror spettrale in cui gli esseri umani, smarriti e senza speranze, finiscono per scomparire improvvisamente, tramutandosi in macchie nere o in echi fantasmatici. Come d’altronde tipico di una certa produzione j-horror di fine anni ’90 e primi anni 2000, Kurosawa prende le mosse da alcune suggestioni tecnofobiche e da determinate questioni sociali (a partire dalla diffusione di Internet sino ad arrivare al fenomeno degli hikikomori) per affrontare un discorso cupo e inquieto sugli orrori del Reale, mescolando uno sguardo lucido sulla contemporaneità con un registro estetico focalizzato sulla dissoluzione dell’individuo all’interno del contesto urbano.
The Void di Steven Kostanski e Jeremy Gillespie
Realizzare un horror di matrice lovecraftiana è un’impresa tutt’altro che semplice. I fattori da tenere in considerazione sono d’altronde tantissimi, a partire soprattutto dal senso di orrore “cosmico” che risiede alla base di questo genere di racconti. Con The Void – Il vuoto, i registi canadesi Steven Kostanski e Jeremy Gillespie sono riusciti a tal proposito a mescolare un’idea narrativa classica – a metà tra lo slasher e l’horror basato sui culti – con alcuni elementi estrapolati direttamente dal canone letterario dello scrittore di Providence. Il risultato è un’esperienza multiforme in grado di unire orrori tentacolari, entità superiori e atmosfere cosmiche che riesce ad intrattenere, rifuggendo dal pericolo di apparire come eccessivamente derivativa o pretenziosa.
Titane di Julia Ducournau
Dopo il convincente esordio vegan-cannibale di Raw – Una cruda verità, Julia Ducournau si aggiudica la Palma d’oro al Festival di Cannes con un film eccezionale e incredibilmente attuale. Tra l’estetica della carne cronenberghiana e gli echi cybermetallici di Shin’ya Tsukamoto, Titane si fa portatore di un preciso discorso sulla fluidità identitaria della nostra epoca, ricercando allo stesso tempo una connessione empatica tra una ragazza con una placca di titanio nella testa, violenta e imprevedibile, con un padre che ha da tempo perso il proprio figlio. Controverso e provocatorio, il film di Ducournau riunisce figure perse e alla deriva, tenute insieme da una sconfinata azione desiderante, meccanica e pulsionale.
It Follows di David Robert Mitchell
Una delle caratteristiche tipiche del cinema horror contemporaneo è la messa in scena di una minaccia indefinita, spesso mostruosa (pensiamo a film come Cloverfield) o dalle origini sovrannaturali. Nel caso di It Follows, il film di David Robert Mitchell, si tratta nello specifico di una minaccia visibile solamente ad una singola persona per volta. Invisibile infatti agli occhi degli altri, la minaccia assume la forma di un vero e proprio stalker persecutorio e inarrestabile, se non per la possibilità di “trasmetterlo” a qualcun altro attraverso il sesso. Con una certa arguzia, David Robert Mitchell riplasma lo slasher tradizionale con un horror atipico che si dimostra molto attento nella sua messa in scena di alcune dinamiche paranoidi adolescenziali (e non) legate specialmente all’attività sessuale e al nostro rapporto con l’alterità.
Get Out di Jordan Peele
Tra i maestri del cinema horror contemporaneo, Jordan Peele realizza con il suo film d’esordio Get Out un horror-thriller dalle atmosfere hitchcockiane in grado di riflettere attivamente su alcune importantissime questioni sociali e antropologiche. Al centro del film, infatti, troviamo la volontà di indagare con perizia lo scontro dicotomico tra “noi” e gli “altri”, in particolar modo attraverso una rilettura originale del fenomeno del razzismo negli Stati Uniti d’America. Una famiglia wasp americana, bianca, borghese, apparentemente democratica e tollerante, mostra progressivamente tutta la sua ipocrisia e le sue manie di controllo dell’Altro, tra nuovi modelli di schiavismo e mondi “sommersi”, realtà che troveranno una ulteriore esplorazione anche nel successivo (e altrettanto meritevole) film di Peele, Noi.
Daniele Sacchi