«Ho cominciato a capire che cos’è il Sud Italia e soprattutto ho cominciato a capire che non si capisce l’Italia se non la si guarda da sud.» Così l’architetto Vittorio Gregotti fa un bilancio della sua esperienza da progettista dello ZEN 2, quartiere periferico della città di Palermo. Lo ZEN è stato progettato nel 1969 da un gruppo di architetti milanesi che, per ammissione di Gregotti stesso, hanno commesso l’ingenuità di disegnare un intero quartiere senza tenere conto delle specificità dell’area in cui questo si sarebbe inserito. Il documentario CityZEN (2015) di Ruggero Gabbai si propone di indagare proprio questo cortocircuito e i suoi effetti, facendo quello che Gregotti quasi cinquant’anni prima aveva tralasciato di fare: capire l’Italia guardandola da sud. Gabbai decide così di collocarsi nel centro di un chiaro sistema di personaggi semplice ma emblematico della realtà del quartiere Zen di Palermo. È un sistema che si articola su due livelli: da una parte le istituzioni e i loro rappresentanti, dall’altra gli abitanti dello Zen.
Il motore della narrazione filmica di CityZEN è l’enorme divario che separa i due gruppi di protagonisti e la percezione che uno ha dell’altro alimenta un complesso meccanismo di pregiudizio e ostilità. All’interno dello Zen lo Stato è rappresentato soltanto da edifici – la scuola, la caserma dei carabinieri – che tuttavia restano simboli vuoti: lo Stato è un fantasma, una presenza percepita distante e disinteressata alle vite degli abitanti. Nello Zen è distinguibile anche il tratto dei progettisti – Vittorio Gregotti, Italo Rota – che lo hanno disegnato convinti di portare un concetto innovativo dell’abitare legato al quartiere-isola e che si scontrano con il loro fallimento. Infine, sullo Zen ci sono privati che investono: l’imprenditore Maurizio Zamparini promette nuove opportunità di lavoro grazie al progetto del centro commerciale Conca d’Oro, che si propone finalmente come l’anello di congiunzione socio-economica tra lo Zen e la città di Palermo.
Quello che vedono i protagonisti però, tre abitanti dello Zen a cui Ruggero Gabbai affida il compito di guidare l’osservatore tra i padiglioni e le vie del quartiere, è molto distante dalle promesse delle istituzioni. Angelo Fina, il Vampiro e Francesco Casisa parlano una lingua diversa – metaforicamente e non – da quella di Zamparini, Gregotti, Rota, il Maresciallo dei Carabinieri della caserma dello Zen e i rappresentanti delle istituzioni. Le loro sono storie di sopravvivenza, di carcere, di illegalità cui si sono ormai arresi. Ciò che resta dunque da fare è aiutarsi e supportarsi, spinti da un senso di comunità imposto loro dall’esterno, dalla stigmatizzazione di cui sono vittime. Si fondano così associazioni, laboratori di musica e danza per ragazzi, club sportivi di tifo calcistico, pranzi comunitari, nel tentativo di riempire il vuoto lasciato dalle istituzioni ricorrendo alla propria umanità e alla solidarietà. CityZEN è stato girato nell’arco di sette anni e la volontà del regista di seguire l’evoluzione – e talvolta l’involuzione – delle vicende dei suoi protagonisti permette di avvicinarsi e affezionarsi a queste persone, abbandonando i preconcetti legati al degrado e alla criminalità che nella narrazione dominante sono associati a realtà marginali come quella dello Zen.
In CityZEN, il quartiere è a sua volta trattato come un vero e proprio personaggio, ripreso in ogni suo aspetto e da diverse prospettive e, alla stregua degli altri personaggi, evolve e involve nel tempo. Il personaggio-Zen è il punto di incontro all’interno del sistema dei personaggi del documentario poiché tutti, volontariamente o meno, si rapportano ad esso. La summa di tale incontro è racchiusa in una delle scene finali, quella della Vampa di San Giuseppe. Mentre Zamparini e un gruppo di investitori sauditi inaugurano il centro commerciale parlando della responsabilità degli abitanti nel processo di rinascita del quartiere, i ragazzi dello Zen accendono una vampa propiziatoria in cui sembra che a bruciare siano le speranze e le aspettative da loro riposte in questa ennesima opportunità mancata. Nessuno degli abitanti dello Zen è stato assunto all’interno del Conca D’Oro, mentre il Centro per non vedenti e la Casa di riposo, promessi dall’imprenditore alla città di Palermo in cambio della concessione per l’uso del suolo pubblico, non sono mai stati inaugurati. La promessa di Zamparini – come quella di Gregotti anni prima – è disattesa e la ferita inflitta allo Zen resta insanabile.
Chiara Passoni