Entroterra Giambellino (2012) costituisce un itinerario. Il documentario (qui il trailer) descrive una vera e propria esplorazione che porta al graduale addentrarsi nel quartiere milanese partendo da piazza Napoli, la soglia di ingresso – quasi un varco – per poi percorrere tutta la via e giungere fino a piazza Tirana, che demarca la fine del quartiere. Il documentario, frutto del laboratorio Immaginariesplorazioni del collettivo Dynamoscopio, si inserisce all’interno di un più ampio progetto che si propone di indagare il quartiere, la sua storia, i suoi punti di riferimento e la vita delle persone che lo vivono. Il progetto include, oltre al documentario, un libro dal titolo Nella tana del Drago dedicato alle diverse realtà che compongono il Giambellino ed è raccontato da una pluralità di voci. I narratori – sia del libro che del documentario – sono gli abitanti stessi, che rivelano le diverse dimensioni del Giambellino attraverso scritti di cui sono autori o interviste di cui sono protagonisti. Il punto di partenza di Entroterra Giambellino è proprio l’identità del quartiere, la definizione dei suoi confini, un’operazione quasi impossibile poiché si sono molto trasformati nel corso della storia di quest’area e anche perché il Giambellino è un quartiere in costante movimento. Nonostante l’identità e i confini siano sfuggenti, ci si continua a riferire al quartiere con un nome ben distinto che reca con sé un immaginario preciso. Il Giambellino è una soglia rispetto al sistema città.
Nel documentario è data grande importanza alla diversità di forme presenti nel quartiere che rispecchiano una trasformazione sociale e generazionale: sono raccontate le case popolari Aler e le villette del villaggio dei fiori, così come i nuovi grattacieli che si stagliano da lì a pochi metri e in cui queste si specchiano. Sono descritti la pulizia e l’ordine del parco di via Savona e il mercato comunale di via Odazio, che rischia di essere smantellato e sostituito da una grande catena. È ripresa una vecchia fonderia e il gesto di coloro che vi lavorano e, poco dopo, il Vodafone Village, portando a confronto il vecchio artigianato e le nuove multinazionali. Questi elementi si integrano, in maniera più o meno organica, all’interno di una narrazione collettiva che presenta il Giambellino come un’interessante zona proteiforme, delineata da forti contrasti urbanistici e identitari. Si parte dunque dalla parte della via più familiare anche a chi non conosce il quartiere Giambellino, poiché costeggiata dalla circonvallazione che porta con sé un grande afflusso di persone. A molti abitanti milanesi sarà capitato di vedere, anche solo di sfuggita, le affissioni del Cinema Ducale o il chiosco che si trova di fronte ad esso. È proprio da queste immagini che inizia la narrazione del collettivo autore del film.
Si può dire infatti che l’itinerario attraverso cui Entroterra Giambellino guida lo spettatore è suddivisibile in diverse sezioni che rappresentano le molteplici realtà che compongono il quartiere. Tale divisione è facilmente rintracciabile poiché ogni dimensione descritta è accompagnata da un’introduzione di natura osservativa che si concentra esclusivamente sui luoghi e che mostra la zona per come si presenta a un occhio esterno, senza che l’osservazione sia guidata da un commento, introdotto solo successivamente. Le sequenze sono nove – il chiosco Ducale, via Savona, i grattacieli residenziali, le case Aler di via Giambellino 146, il mercato comunale di via Odazio, il villaggio dei fiori, l’orto comune e la fonderia, la Cooperativa Giambellino e il Vodafone Village – e sono collegate tra loro da un fitto gioco di rimandi. Infatti, il racconto di ogni ambiente descritto è affidato a un singolo abitante o a un gruppo di abitanti del Giambellino che, nel descriverlo, conclude la narrazione della sua esperienza facendo un riferimento alla realtà che verrà trattata nelle sequenze successive.
La struttura di Entroterra Giambellino è cadenzata da cinque momenti a cui corrisponde una sospensione narrativa, una pausa in cui a fotografie e video di archivio sono associate considerazioni che partono da spunti poetici e letterari (sono citati, tra gli altri, Sereni, Calvino e Celan) sul concetto di soglia, sul viaggio che porta a una nuova destinazione, sulla valenza e l’importanza del passato. Questa voce poetica scandisce il ritmo del film, chiosando le situazioni appena osservate e completandole con una riflessione che le colloca nell’ambito di un’esperienza più ampia, di un viaggio e delle nuove prospettive che effettuando questo viaggio si possono adottare.
Come accennato, Entroterra Giambellino si basa su una struttura fatta di rimandi. La sequenza precedente e il suo protagonista chiamano la successiva, che viene analizzata più in profondità da un abitante che la vive direttamente e quindi la conosce meglio. Sono rintracciabili tutti gli elementi caratterizzanti del quartiere: le sue origini operaie; la realtà delle case popolari; la piaga dell’eroina; la forte dimensione politica che lo connotava in passato e di cui rimane poco (una vecchia cooperativa in cui non si fa più politica). Infine, è importante notare come il quartiere sia costantemente rapportato al suo passato e ciò emerge, più che dai racconti, prevalentemente attraverso fotografie e filmati d’archivio. Per ogni realtà mostrata viene illustrato l’aspetto che aveva in passato, con particolare attenzione alla componente umana. È frequente il rimando all’ambiente e a come questo fosse vissuto dalle persone che vi abitavano, sempre presenti nelle immagini proposte. È quindi riscontrabile una componente storica, qui inserita in un contesto attualizzante che la riporta e la confronta con l’oggi.
È importante sottolineare che il progetto di Dynamoscopio non solo analizza gli effetti emotivi che il territorio suscita nei soggetti che vi abitano e lo raccontano oggi, ma porta anche il quartiere in costante relazione con il suo aspetto passato, rapportandolo al modo in cui era vissuto e alle emozioni che evocava nelle persone che lo hanno abitato negli anni. Il collettivo Dynamoscopio è riuscito nell’intento di portare l’attenzione su dimensioni, identità e forme di socialità spesso ignorate da buona parte della popolazione milanese, analizzando la loro storia, scandagliando le dinamiche più profonde che le regolano e fornendo così un ritratto diverso da quello che solitamente di queste realtà viene proposto.
Chiara Passoni