In una zona desertica mediorientale, un uomo – forse di origini afgane – è in fuga. Un contingente militare statunitense è sulle sue tracce e alla sua cattura seguono lunghe e dolorose torture. Tuttavia, l’uomo riesce presto a liberarsi dalla sua prigionia, riprendendo la sua fuga disperata e senza meta, questa volta tra i boschi e il gelo dell’inverno polacco. Il canovaccio di Essential Killing di Jerzy Skolimowski è semplice e diretto, ma risplende attraverso l’intensità delle sue immagini e del suo silenzioso protagonista. L’uomo al centro delle vicende del film – il cui nome, Mohammed, viene chiarito solamente nei titoli di coda – è interpretato da Vincent Gallo. Il regista, autore e attore statunitense porta in scena una prova attoriale viscerale, di grande spessore e sacrificio, che gli è valsa meritatamente la Coppa Volpi alla Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia del 2010.
Senza mai pronunciare una parola e lavorando solamente di mimica facciale, di gestualità e di corporeità, Gallo veicola – e proietta sullo spettatore – sensazioni primordiali e archetipe, ponendo l’accento sulla privazione della sua umanità. Nonostante le coordinate geografiche e, di conseguenza, geopolitiche di Essential Killing non siano mai realmente specificate, i riferimenti al contesto della war on terror, da Guantánamo ad Abu Ghraib, sono comunque espliciti. Ma la vera politica di Essential Killing è, appunto, quella del corpo e della sopravvivenza, una politica essenziale ed esistenziale che prende le mosse dal silenzio del suo protagonista, dall’orrore a cui viene sottoposto, dall’incertezza della sua “condizione” di fuggitivo, dall’alienazione nel passaggio da un territorio (forse) conosciuto ad uno probabilmente mai visto prima, impervio ed imprevedibile.
La tensione principale che si percepisce in Essential Killing è quindi figlia di un’impossibilità che diventa presto dura concretezza, ossia la giustapposizione tra gli elementi che nel film localizzano le vicende e quelli che invece le delocalizzano. L’idea narrativa sembra suggerire che l’uomo in fuga sia “colpevole” di qualcosa: i militari statunitensi lo inseguono in quella che sembra essere una dispendiosa missione segreta, lui stesso riesce ad assassinare alcuni dei suoi inseguitori con un’imboscata. Allo stesso tempo, però, la crudeltà dei soldati è sotto i nostri occhi, così come le brutalità messe in scena dal personaggio interpretato da Gallo nel tentativo di sopravvivere. Ma chi è realmente “colpevole”? E di cosa?
Skolimowski agisce attraverso una messa tra parentesi continua, completamente disinteressato dai risvolti narrativi tradizionali. Il focus del regista polacco è incentrato sull’esplorazione della nuova identità del suo protagonista, un’identità che non necessita di nomi, provenienze o affiliazioni politiche, ma di istinto di sopravvivenza e di spirito di adattamento. Si ricomincia ad individuare un barlume di racconto solo nelle ultime battute del film, nel momento in cui entra in scena il personaggio interpretato da Emmanuelle Seigner. E anche in questo caso, si tratta in realtà solamente di una piccola scintilla, di una chiave simbolica aggiuntiva che sublima ulteriormente l’esperienza di Essential Killing come atipico trattato sull’uomo e sulle sue crisi.
Daniele Sacchi