Presentato alla 74esima edizione della Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, First Reformed (2017) è un film stratificato e complesso, capace di riflettere su temi delicati senza mezzi termini. Il film di Paul Schrader adotta infatti uno spiritualismo profondo in grado di sottoporre allo spettatore numerose domande sul futuro del nostro pianeta, sul ruolo delle istituzioni religiose, sulla vita e sul significato delle nostre scelte, senza per questo apparire scontato o banale nel suo non offrire alcuna risposta definitiva alle stesse. Lo sceneggiatore, tra gli altri, di Taxi Driver (1976) e de L’ultima tentazione di Cristo (1988) sceglie pertanto di perseguire un percorso narrativo che fa dell’introspezione e del mistero i suoi tratti fondanti, corroborandoli con un’estetica a tratti minimalista, a tratti surreale, che amplifica l’aura eterea che permea l’intera opera.
A proposito di narrazione, l’intreccio di First Reformed è all’apparenza molto semplice. Il reverendo Ernst Toller (Ethan Hawke) ha da poco perso il figlio, assassinato durante la guerra d’Iraq, ed è tormentato dalla sua perdita. Allo stesso tempo, una giovane donna di nome Mary (Amanda Seyfried) gli chiede di discutere con il marito, un ambientalista radicale, per cercare di dissuaderlo dal commettere qualche azione sconsiderata. A cavallo tra questi problemi di natura morale ed etica vi è la chiesa protestante di First Reformed che, prossima a celebrare il suo seicentenario, è in cerca di aiuto da parte della megachurch Abundant Life per aumentare il numero dei propri accoliti.
Com’è intuibile, la complessità di First Reformed non deriva dal suo intreccio abbastanza lineare, bensì dalla natura delle interazioni dei suoi protagonisti. In particolar modo, Schrader decide a metà del film, sino a quel momento denso di parole, come nel lungo dialogo tra il reverendo e il marito di Mary o nei frequenti monologhi introspettivi del protagonista proposti allo spettatore attraverso l’espediente narrativo del diario personale, di inserire una lunga sequenza evocativa che vede il reverendo stesso levitare insieme a Mary. Decostruendo improvvisamente la forma del suo film, Schrader suggerisce allo spettatore che ciò che potrebbe aver intuito sulla direzione della trama potrebbe non essere effettivamente ciò che crede.
Nel complesso, First Reformed sembra pertanto rientrare in quella tipologia di film dallo stile trascendentale da Schrader stesso teorizzato. A tal proposito, il film del regista americano adotta, come lui stesso l’ha definita ironicamente, «la tecnica della noia»: invece di riempire la propria opera di momenti ricchi di azione, in cui in ogni istante sembra accadere qualcosa, decide invece di ricorrere all’utilizzo di numerosi tempi morti. Così, Schrader tiene costantemente sulle spine lo spettatore con il ritmo lento del suo film, con il suo indugiare su elementi che a prima vista potrebbero non sembrare importanti, con il minimalismo sonoro delle composizioni di Lustmord, per poi colpirlo e lasciarlo spiazzato con l’impatto dell’inatteso: uno stile trascendentale come arte del disorientamento e della libertà ultima, sia per i personaggi del film sia per lo spettatore stesso.
Tutto questo sarebbe tuttavia risultato vano se a trainare First Reformed non ci fosse stata una grande prova attoriale di Ethan Hawke, tra le migliori della sua carriera. Attraverso la sua metodica performance, Hawke ci restituisce un reverendo Toller estremamente segnato dalla tragedia che lo ha colpito e che sente di avere in parte causato. Toller è una figura che non riesce più ad assegnare al suo ruolo di rappresentante della sua religione un significato ben preciso, tormentato dalla consapevolezza che la realtà sia fuori controllo e che l’uomo sia incapace di mettere un freno alla sua pleonexia. In qualche modo, Toller sente che forse, in virtù del ruolo stesso che riveste, può dare un segnale in tal senso all’umanità, ma la domanda fondamentale per lui diventa presto se seguire il proprio stato naturale o se cercare di mettere un freno alla pulsione distruttiva che ha da tempo sopito e che sta ora cercando di prendere il sopravvento.
In ultima analisi, First Reformed è un’operazione singolare, un tentativo coraggioso di portare sullo schermo una tipologia di forma e di stile cinematografico che ormai è difficile da vedere con frequenza nelle sale. Un tentativo che, a conti fatti, appare come decisamente ben riuscito.
Daniele Sacchi