Le grandi saghe sono ormai le protagoniste indiscusse del cinema mainstream, con i film a più alto budget che fanno praticamente tutti parte di una “serie”. Il kolossal nel suo senso più specifico è una tipologia di film sostanzialmente estinta, digerita da un enorme pubblico affamato di serialità. Così Furiosa: A Mad Max Saga (per l’appunto) si va a collocare nel filone dei revival, capaci di resuscitare franchise vecchi – o vecchissimi – e mettere in scena raffazzonati dittici o trilogie, i cui esiti sono sempre piuttosto prevedibili. George Miller porta quindi in scena un titolo completamente omologato a questi processi e quasi pigro, sfruttando il successo di un personaggio molto amato dell’universo dei film di Mad Max, ovvero Furiosa, Charlize Theron nel titolo precedente, qui interpretata da Anya Taylor-Joy.
Tra tutti gli autori che hanno il diritto a tenere in vita le proprie saghe, vi è sicuramente George Miller. Il regista australiano creatore dell’universo post-apocalittico di Mad Max ci aveva lasciati con un titolo di altissimo livello, Mad Max: Fury Road, un action perfetto, nonché un capolavoro di montaggio, fotografia, sound design e stunt coordination. Un film dalla trama quasi assente, ma incredibilmente adrenalinico, incalzante e immersivo. Il prequel/spin-off dedicato al personaggio di Furiosa, quindi, si preannunciava con i migliori auspici, alzando molto le aspettative, ma il risultato finale, purtroppo, è senza ombra di dubbio deludente.
L’esplorazione del passato di Furiosa è sterile, non aggiunge nulla a un personaggio che passa la quasi totalità del film in silenzio, con la faccia coperta e privo di espressioni. I personaggi che costellano la vita della protagonista – e che contribuiscono a descriverne i traumi – sono altrettanto bidimensionali e non ci permettono di entrare pienamente a contatto con la giovane guerriera, limitandosi a delinearne appena qualche aspetto.
Fin qui, tuttavia, ci si troverebbe in linea con il film precedente che ha segnato, forse suo malgrado, uno standard alto su come girare una pellicola di questo tipo. A peggiorare le cose sono le scene d’azione, qui più spente e meno spinte, mancanti di quell’apporto “artigianale” che è stato la cifra stilistica più importante del capitolo precedente. In Furiosa: A Mad Max Saga, infatti, si ricorre in maniera troppo vistosa alla CGI, ma soprattutto i ritmi feroci di Fury Road sono un ricordo lontano, i tempi sono decisamente – e fin troppo – più rilassati. In merito alle interpretazioni, se Anya Taylor-Joy ha sicuramente avuto dei ruoli migliori, Chris Hemsworth nei panni del Dr. Dementus riesce almeno a regalarci uno dei suoi personaggi più interessanti, un cattivo un po’ più sfaccettato rispetto alle parti che sono solitamente riservate all’attore australiano.
Il vero problema di Furiosa: A Mad Max Saga è quello di dover fare i conti con le aspettative. Perché nonostante tutto, il film scorre leggero, intrattiene e incuriosisce. Ma, pur facendo rituffare lo spettatore in quell’universo visivo di Mad Max così curato, così ricco di dettagli, con tutti i suoi pezzi di ricambio, sterzi, motori e telai, fiamme, maschere e pistole, alla fine il film non può che ricadere comunque in quel mucchio indefinito di prequel/sequel/midquel con poca anima imposti dal mercato, mentre, al contrario, Fury Road appariva come un legittimo salto nel buio, un unicum difficilmente ripetibile.
Alberto Militello