La piattaforma di streaming MUBI ha da poco reso disponibile ben 24 opere del genio visionario di Aki Kaurismäki, tra lungometraggi, corti, documentari e video musicali. In attesa dell’uscita del suo ultimo film, Foglie al vento, Premio della Giuria all’ultima edizione del Festival di Cannes e in uscita nel nostro Paese il 21 dicembre per Lucky Red, abbiamo deciso di rivolgere uno sguardo ai suoi 17 lungometraggi (tutti disponibili su MUBI ad eccezione di Miracolo a Le Havre) per cercare di comprendere al meglio la sua poetica ed estetica cinematografica. Nella prima parte abbiamo trattato i suoi primi otto film, da Delitto e castigo a Ho affittato un killer, mentre in questa seconda parte ci occuperemo dei suoi nove film successivi, da Vita da bohème a L’altro volto della speranza.
Vita da bohème (1992)
In Vita da bohème, Kaurismäki mette in scena un libero adattamento del romanzo d’appendice Scènes de la vie de bohème di Henri Murger, un ritratto decadente di un gruppo di amici e di artisti, reietti impoveriti che finiscono per supportarsi a vicenda dopo il loro fortuito incontro a Parigi. Oltre ad essere una celebrazione del mélange culturale – Marcel è un poeta francese, Rodolfo un artista albanese e Schaunard un musicista irlandese – come elemento di vicinanza e non di separazione (in virtù anche della simile disperazione sociale, dove le differenze vengono sepolte nel perseguimento di un benessere collettivo), Vita da bohème è soprattutto uno sguardo genuino e autentico sul valore dell’amicizia tra le difficoltà e le sofferenze della vita.
Tatjana (1994)
Dopo essersi tuffato nella Londra di Ho affittato un killer e nel contesto parigino di Vita da bohème, Kaurismäki ritorna nel suo Paese d’origine con Tatjana, un buddy movie con protagonisti Valto e Reino, due amici dissoluti e ottusi appassionati di vodka e di caffè, in viaggio senza una meta. In un pub incontrano l’estone Tatjana e la russa Klavdia, due donne appena arrivate in Finlandia in cerca di un passaggio. In questa situazione insolita per i due scapestrati, il muro apparentemente inscalfibile di incomunicabilità che li separa con il resto del mondo non potrà che vacillare. Nonostante il cinema di Kaurismäki non sia mai freddo o eccessivamente cinico, la chiusura dolceamara del film non può lasciare indifferenti, in quella che è la sua opera più breve (il runtime supera di poco l’ora) e immediata.
Leningrad Cowboys Meet Moses (1994)
Leningrad Cowboys Meet Moses è il secondo lungometraggio di Kaurismäki dedicato ai Leningrad Cowboys, sequel diretto degli eventi raccontati nel precedente Leningrad Cowboys Go America. Dopo la morte e la perdita di alcuni componenti della band a causa del loro stile di vita sregolato in Messico, lo spietato manager Vladimir ritorna sulle scene per cercare di ridare una direzione al gruppo. La sua nuova veste è quella di guida messianica, un eccentrico Mosè che cercherà di riportare i Leningrad Cowboys a casa, in Siberia, attraverso un folle viaggio tra l’Oceano Atlantico e l’Europa. Meno riuscito e meno originale rispetto al capitolo precedente dell’epopea della band, Leningrad Cowboys Meet Moses è comunque una commedia musicale divertente, sfrenata e ai limiti dell’assurdo, un’avventura che inizia come un western e che si trasforma presto in un road movie caotico ed imprevedibile.
Nuvole in viaggio (1996)
Ilona è capocameriera presso il ristorante Dubrovnik, mentre suo marito Lauri lavora come autista di tram. L’azienda tranviaria per cui Lauri lavora, tuttavia, decide di fare un taglio del personale tirando a sorte con un mazzo di carte, portando l’uomo a perdere suo malgrado la sua occupazione. Presto, anche il Dubrovnik chiude, lasciando a casa Ilona. Nuvole in viaggio, prima parte della trilogia dedicata alla Finlandia insieme ai successivi L’uomo senza passato e Le luci della sera, prende le mosse dal tipico canovaccio kaurismakiano per mettere in scena la precarietà e i drammi del proletariato, focalizzandosi per la prima volta sulla dimensione coniugale in un racconto malinconico che però – specialmente nelle sue sequenze conclusive – appare come ricolmo di luce e di vita.
Juha (1999)
Uno dei tratti distintivi del cinema di Aki Kaurismäki è la sua costante capacità di rinnovarsi nonostante la continuità nei temi e nelle situazioni portate in scena. Juha, in tal senso, prosegue l’esplorazione stilistica del regista finlandese attraverso un melodramma muto tratto dal romanzo omonimo di Juhani Aho. Kaurismäki cambia l’epoca di riferimento del romanzo, non più il diciottesimo secolo ma il Novecento, in un film interamente basato sull’accompagnamento musicale curato da Anssi Tikanmäki, spaziando dalla musica leggera al jazz e al rock ‘n’ roll. I dialoghi vengono relegati alle didascalie tipiche del cinema muto, garantendo una piena centralità all’immagine e alla tragedia vissuta dalla protagonista di Juha, Marja, la quale abbandona il marito dopo aver conosciuto il ricco Shemeikka per una vita lussuosa, finendo tuttavia in una realtà di prostituzione e degrado. Spetterà al marito, Juha appunto, cercare di salvare la moglie, in un film che tuttavia non ricade mai nel topos della damigella in pericolo e che, anzi, trascina con sé tutte le criticità del realismo sociale perseguito da Kaurismäki.
L’uomo senza passato (2002)
Secondo film della trilogia dedicata alla Finlandia dopo Nuvole in viaggio, L’uomo senza passato si occupa di fare luce sulle condizioni avverse dei senza tetto. Punto di partenza dell’indagine condotta dal regista è un’aggressione violenta ai danni di un operaio (Markku Peltola) che gli provoca una totale amnesia. Smarrito, senza dimora, denaro e identità, l’uomo dovrà ricostruirsi la propria vita mentre le persone che lo circondano lo biasimano costantemente per ciò che, pur senza colpe, rappresenta socialmente. Ancora una volta, Kaurismäki ricorre a più riprese al dry humour per affrontare una tematica complessa, soffermandosi in particolar modo sui sentimenti di empatia e di compassione, specialmente tra persone che si ritrovano in situazioni di vita simili. Proprio per questo, nonostante la complessità dei temi trattati, L’uomo senza passato è un’opera che arde di umanità.
Le luci della sera (2006)
Le luci della sera chiude la trilogia finlandese con un nuovo esame dell’emarginazione sociale, questa volta con una prospettiva interna al lavoro. Koistinen (interpretato da Janne Hyttläinen) è una guardia giurata attiva ad Helsinki, i colleghi lo sbeffeggiano per la sua natura solitaria nonostante i suoi tentativi di apertura e i suoi superiori lo guardano con diffidenza. L’uomo fatica ad instaurare relazioni anche al di fuori delle dinamiche lavorative, ma l’incontro con una donna, Mirja (Maria Järvenhelmi), sembra un punto di svolta per la sua vita, almeno finché le sue reali intenzioni non saranno chiare. Sebbene la spirale discendente in cui Koistinen viene mano a mano trascinato per certi versi possa ricordare le disavventure del protagonista di Ariel, in questo caso la cornice del racconto è meno disinvolta e più seria, soprattutto se si considerano i desideri e i sogni per il futuro dell’uomo, in un film che di fatto oscilla a più riprese tra crisi esistenzialiste e atmosfere quasi da thriller urbano.
Miracolo a Le Havre (2011)
A 19 anni da Vita da bohème, Kaurismäki ritorna in Francia – questa volta a Le Havre, in Normandia – per affrontare il tema dell’immigrazione illegale. Ritorna anche Marcel, uno dei protagonisti proprio di Vita da bohème (interpretato da André Wilms) che, abbandonata la vita anticonformista da artista, lavora ora come lustrascarpe. Tutto il film è costruito sulla formazione di un rapporto di amicizia e di supporto tra l’uomo e Idrissa, un giovane ragazzino africano immigrato clandestinamente in Francia e diretto a Londra per ricongiungersi con la madre. Il regista finlandese adatta il proprio registro stilistico alle questioni del contemporaneo (ragionando peraltro sulle contraddizioni del potere costituito, rappresentato nel film dalle forze di polizia), dimostrando uno sguardo di ampie vedute in grado di mescolare il minimalismo formale e le modalità comiche del deadpan con la necessità di un commentario sociale pieno di umanità e al passo con i tempi.
L’altro volto della speranza (2017)
In continuità con il film precedente, L’altro volto della speranza prosegue la riflessione sull’immigrazione, questa volta in Finlandia e attraverso la prospettiva di un richiedente asilo siriano al quale è stato negato lo statuto di rifugiato. Come Idrissa in Miracolo a Le Havre desiderava riunirsi con la madre, qui Khaled (Sherwan Haji) sogna di ritrovare sua sorella, ma dovrà affrontare l’odio e la diffidenza di una società – quella finlandese – chiusa e scettica. Nonostante il ricorso ad una prospettiva “altra”, Kaurismäki adatta i temi tipici della sua proposta cinematografica – l’emarginazione sociale, le condizioni di vita precarie, l’incertezza per il futuro – in un film toccante ed estremamente attuale, capace di guardare al presente e alle sue criticità con un vigore encomiabile.
Critical Eye è una piattaforma indipendente. Se trovi i contenuti del sito di tuo gradimento, sostieni il nostro lavoro.
Daniele Sacchi