È passato in sordina a causa del fenomeno Barbienheimer che ha monopolizzato la discussione cinematografica delle ultime settimane, ma Hanno clonato Tyrone (They Cloned Tyrone) è un interessante esperimento di Netflix che merita una visione. Il film di Juel Taylor recupera l’immaginario blaxploitation anni ’70 traslandolo in un pastiche di generi dalle sensibilità moderne, con un cast guidato dalle ottime prove attoriali di John Boyega e di Jamie Foxx. Un’operazione simile non poteva che avere come suo punto di riferimento fondamentale anche il cinema di Jordan Peele, ormai maestro di un certo tipo di commistioni, oltre che al genere cospirativo e alla fantascienza.
Nell’incipit del film, il protagonista di Hanno clonato Tyrone – il gangster Fontaine, interpretato da Boyega – viene ferito a morte in un’imboscata tesa dallo spacciatore rivale Isaac (J. Alphonse Nicholson). Il giorno successivo, tuttavia, Fontaine si risveglia nel suo letto come se nulla fosse accaduto. Insieme al pappone Slick Charles (Jamie Foxx) e alla prostituta Yo-Yo (Teyonah Parris), Fontaine cercherà di scoprire cosa sta succedendo nel suo quartiere, finendo per ritrovarsi inevitabilmente incastrato in una macchinazione cospirativa più grande di lui.
Quella che inizialmente sembra essere un’applicazione del modello ormai classico della “coazione a ripetere” in stile Ricomincio da capo si rivelerà essere in realtà una fusione (ben riuscita) di varie suggestioni narrative, partendo dal tema della clonazione sino ad arrivare all’intrigo governativo e ad un’analisi sociale più generale e universale. Tra le atmosfere di Get Out di Peele e gli ammonimenti carpenteriani di Essi vivono, Hanno clonato Tyrone mette in scena un’unione efficace tra l’omaggio cinematografico, uno humour mordace e ben calibrato e un tentativo più serio di esaminare le istanze del Reale. Richiamando esplicitamente la cura Ludovico di kubrickiana memoria, il film di Juel Taylor avanza – pur con il suo stile decisamente sopra le righe – un discorso attuale sul potere e sul controllo, qui declinato in chiave afroamericano-centrica.
Similmente all’operazione decostruttiva condotta da Jeymes Samuel nel suo anti-western The Harder They Fall sulle dinamiche insite nel genere, Hanno clonato Tyrone ricalibra presto il suo presentarsi come un hood movie grezzo e monodirezionale abbracciando in pieno le sue derive sci-fi per raccontare una storia dal respiro più ampio. Il film si allontana subito dal dilemma del singolo per tingersi di sfumature che coinvolgono più direttamente la comunità afroamericana nel suo insieme, riflettendo sull’appropriazione culturale, sulla depersonalizzazione identitaria e sulla pulizia etnica, finendo per rimodulare persino il whitewashing attraverso un punto di vista originale ed interessante. Al di là del macchiettistico villain interpretato da Kiefer Sutherland, la cui banalità rischia di appiattire la forza del messaggio generale del film, Hanno clonato Tyrone appare come un esperimento ben riuscito, vigoroso nel suo fondere i generi per adattarli ad un’intelligente ricerca formale che riesce ad apparire convincente anche nei suoi risvolti sociali.
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Daniele Sacchi