Ogni punto dell’universo ha una storia. Anzi, tante storie, tanti frammenti di vite che incrociano quel punto specifico, a volte vite intere. In Here, Robert Zemeckis porta all’estremo la sua ossessione per il tempo e per la storia americana, regalandoci un prodotto dalla prospettiva originale (pur ricorrendo a elementi più che comuni per il regista), un film che nel bene e nel male non risente minimamente del dialogo sull’attualità che interessa ormai da tempo il cinema americano in maniera trasversale. Zemeckis si conferma forse come il regista più americano tra gli americani, non per un certo patriottismo che da sempre aleggia nei suoi titoli, ma per quella genuinità e sentimento naïve che sono profondamente incarnati nell’animo statunitense.
Dalla formazione della Terra ai robot aspirapolvere, in Here – titolo già di per sé “parlante” – entriamo nel microverso che si forma osservando lo stesso identico punto anno dopo anno, epoca dopo epoca. Come un ritorno alle origini del cinema, la camera ferma ci mostra il fluire della storia tra tre pareti di una casa suburbana della Pennsylvania (stato chiave nella storia USA). Dai nativi americani ai roaring 20s, passando per le guerre mondiali e il boom economico, il regista ci racconta tante storie che principalmente confluiscono in quella principale di Richard Young (Tom Hanks), figlio del boom, uomo di buon cuore e amante della famiglia, incatenato alla casa in cui è nato, incapace di allontanarsi dalle sue radici perché troppo legato alla sicurezza che quella casa costituiva, precludendosi un futuro felice. Una sorta di proiezione del regista, in altre parole.
Zemeckis è un autore che ci ha regalato film tra i più iconici della storia del cinema. in molti dei quali vi è di fatto al centro lo studio dei cambiamenti storici seguendo un unico punto di vista (come la Hill Valley di Ritorno al Futuro, o come nel caso del protagonista di Forrest Gump), e qui realizza un’opera che continua su questa scia, talmente attento alla nostalgia e all’analisi del passato da risultare insensibile ai dialoghi del presente. Proprio in questo risiede l’essere naïve di Zemeckis, nell’essere così sinceramente interessato a raccontare il passato con la più classica poetica americana, da risultare a modo suo originale nel contesto attuale. In un momento storico in cui tutti i cineasti USA e tutti i generi convergono sulla critica politica, sulla cultura woke (per fare una generalizzazione forse grossolana), Zemeckis piazza un film dal sapore antico, che avrebbe fatto un figurone anche a fine anni ’90 perché completamente in linea allo stile che il regista ha sempre mantenuto nel tempo. Questo può considerarsi l’unico limite del film, strettamente legato al contesto industriale e di mercato.
Dal punto di vista tecnico, la scelta della prospettiva unica è incredibile. Se da un lato viene da pensare al cinema delle origini (in cui per motivi pratici si era costretti a tenere la camera ferma in un punto), dall’altro c’è una scelta coraggiosa e pensata che porta all’estremo quell’analisi della storia da un unico punto di vista che già ci aveva incantato con i già citati Ritorno al Futuro e Forrest Gump. L’effetto è quindi quello di una camera ferma nello spazio e che si muove in un unico punto del tempo, in cui persino dettagli ed eco di storie avvenute millenni fa hanno un riverbero che tocca anche il presente dei personaggi. Altrettanto acuta è la scelta delle sovrapposizioni vignettistiche che permettono, oltre che movimentare la scena e permettere la sovrapposizione di più momenti temporali, anche un omaggio alla graphic novel omonima a cui il film si ispira.
Un’ultima nota va agli effetti speciali. Se da un lato il (tanto criticato) ringiovanimento di Tom Hanks risulta naturalissimo, anche perché realizzato con un’innovativa tecnologia di IA applicata durante le riprese come un filtro, dall’altro il trucco e la CGI di altri momenti del film sono palesi e poco credibili. Sul tema del ringiovanimento di attori più anziani – che pure abbiamo visto in The Irishman di Scorsese e in Indiana Jones e il quadrante del destino di Mangold – bisogna fare i conti con il fatto che questa è adesso una tecnologia comune e facilmente accessibile, con cui bisogna fare i conti e a cui bisogna abituarsi, non è insomma “meno finto” di un trucco prostetico usato per invecchiare, è la stessa illusione ma con tecnologie diverse.
In definitiva, Here di Zemeckis è un film nostalgico sotto molti aspetti, nel bene e nel male fuori dal tempo, ma che, visionato senza i filtri del cinema attuale che tende a politicizzare tutto ciò che passa sullo schermo, ci porta dentro una serie di storie che si intrecciano in uno stesso punto e che, con un solo movimento finale, ci invita a mettere tutto in prospettiva e riflettere sulle tante vite che si sono susseguite negli altri punti del mondo che ci circonda.
Alberto Militello