È uscito nelle sale italiane il 1 febbraio How to Have Sex, opera prima della regista britannica Molly Manning Walker e vincitore nella sezione Un Certain Regard al 76° Festival di Cannes. Tre amiche, Tara, Em e Skye partono per Malia, Grecia, per festeggiare la fine del liceo in attesa dei risultati degli esami. Tara però – interpretata da un’incredibile Mia McKenna-Bruce – ha anche un altro obiettivo: vuole approfittare della vacanza per perdere la verginità.
Tra un festino e un bagno all’alba, la spensieratezza dei primi giorni lascia presto spazio a una realtà che si fa sempre più cupa. Quando finalmente Tara consuma il suo primo rapporto sessuale sulla spiaggia, il tempo si dilata e quel fine ultimo per cui era (o credeva di essere) lì, si svuota completamente di significato. La regista de-romanticizza l’avventura estiva e ci fa riflettere sul ruolo del sesso nella nostra cultura, vissuto sia come rito di passaggio che come aggregatore sociale, ragionando su come l’esperienza stessa, più spesso di quanto non si pensi, finisca per togliere anziché dare.
Vediamo sprofondare Tara in un tormento psicologico che la isola sempre di più dalle sue amiche e Manning Walker sfrutta abilmente il suo passato da direttrice della fotografia per adattare l’uso della macchina da presa alla temperatura del film. I colori richiamano l’atmosfera di Spring Breakers di Harmony Korine mista a ricordi catturati in istantanee come in Aftersun di Charlotte Wells. Ma la dialettica per immagini racconta soprattutto l’incomunicabilità dell’adolescenza, il groviglio emotivo della protagonista che non riesce ad essere espresso a parole. Ogni inquadratura, come quella di Tara che cammina all’alba in una strada deserta, fa prima di tutto parte di un personale monologo interiore, mentre i primissimi piani lasciano trasparire la confusione, il dolore e la vergogna della ragazza.
How to Have Sex è un film che provoca disagio nello spettatore perché mette in scena situazioni o sensazioni che con l’evolversi della narrazione diventano sempre più tristemente autentiche. È infatti la seconda esperienza sessuale di Tara a mettere l’accento su un’altra questione-cardine del film: il consenso nella sua accezione meno esplorata. Cosa resta alla fine di una vacanza che di spensierato conserva solo l’ideale?
How To Have Sex non vuole fare la morale, ma è sicuramente un film che vuole far riflettere sul significato di consenso nei suoi contorni più sfumati, insidiandosi nelle zone d’ombra più difficili da comprendere. Lo abbiamo visto anche in film come Una donna promettente di Emerald Fennell: la rape culture è costellata di atteggiamenti che minimizzano e normalizzano comportamenti dominanti e atti violenti. Da questo punto di vista, l’epilogo di How to Have Sex, che a primo impatto può sembrare frettoloso, è in realtà da intendersi come una questione che la regista vuole lasciare aperta, un dialogo sul consenso oggi più che mai attuale che non deve necessariamente esaurirsi con la conclusione del film.
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Martina Dell’Utri