I’m Still Here di Walter Salles, la recensione del film

I'm Still Here

Dodici anni dopo l’insipido On the Road, Walter Salles ritorna in patria con I’m Still Here, un film intenso e commovente che ci trasporta in un periodo buio della storia brasiliana, quello della dittatura militare vigente tra gli anni ’60 e gli anni ’80. Nel film, presentato in concorso all’81esima edizione della Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, ci troviamo a metà di quest’epoca, nel 1971, quando l’ex deputato laburista Rubens Paiva viene rapito dal DOI-CODI, una polizia politica dedita alla tortura e all’omicidio di tutti coloro che considera avversi al regime.

Il film, ispirato al memoir di uno dei figli dell’uomo, Marcelo Rubens Paiva, si sofferma in particolar modo sulla figura della madre Eunice, interpretata da una grandiosa Fernanda Torres. Eunice, insieme ai suoi cinque figli, vedrà la sua vita completamente stravolta dopo il rapimento del marito, arrivando persino a dover abbandonare l’amata Rio de Janeiro per cercare di ritrovare un equilibrio personale, oltre che economico. Impegnata a proteggere la sua famiglia e in costante ricerca di giustizia, Eunice combatterà a lungo per scoprire cos’è successo realmente al marito, nella speranza di poterlo un giorno rivedere.

I’m Still Here, da questo punto di vista, è un vero e proprio dramma familiare che fa della quotidianità dei Paiva il suo centro focale. Prima ancora di gettare lo spettatore in mezzo al turbinio emotivo suscitato dalla questione del rapimento, Walter Salles costruisce un racconto profondamente umano che prende le mosse da ciascun membro della famiglia Paiva. Conosciamo così, mano a mano, la storia di Veroca, di Nalu, di Marcelo, di Babiu e Eliana. Ciascun membro della famiglia ha una sua personalità, ambizioni, desideri. Salles ci permette di toccare con mano e di vivere a nostra volta l’universo familiare dei Paiva per mostrarci da vicino, in questo piccolo microcosmo, il dramma e il dolore di tanti.

Eunice, in tal senso, si erge in tutto ciò come una figura stoica e coraggiosa, una madre “qualunque” che, da un giorno all’altro, finisce al centro di un dramma che coinvolge un’intera Nazione. La storia delle dittature non è mai solo tragedia, è una Storia fatta anche di persone come Eunice, che nonostante tutto lottano contro le ingiustizie e i soprusi. Salles questo lo sa perfettamente e infatti ce lo mostra di continuo, a partire dalla sofferta prigionia della stessa Eunice sino ad arrivare alla sua coraggiosa lotta per la verità. Tutto questo senza mai tralasciare, nel corso degli anni – il film non è ambientato solamente negli anni ’70, ma comprende diverse parentesi successive – la centralità della famiglia, perno inossidabile che a un racconto così brutale affianca un costante sentimento di vicinanza, empatia, compassione, sublimato nella splendida sequenza conclusiva (in cui ritorna anche Fernanda Montenegro, madre di Fernanda Torres, a 26 anni dal meraviglioso Central do Brasil). Con una profondità emotiva e un’urgenza encomiabile, I’m Still Here ci invita a riflettere sul passato nella speranza di poter comprendere al meglio il presente.

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Daniele Sacchi