Il dottor Stranamore – Ovvero: come ho imparato a non preoccuparmi e ad amare la bomba (1964), capolavoro guidato dalla sensazionale triplice interpretazione di Peter Sellers, appare ancora oggi al nostro sguardo contemporaneo come una disamina profonda sulla gestione delle dinamiche del conflitto, sullo sfruttamento delle potenzialità belliche di una Nazione, sulle tensioni contraddittorie che permeano il delicato equilibrio tra uno stato di pace e uno stato di guerra. Da un punto di vista autoriale, Stanley Kubrick riprende alcune delle istanze del precedente Lolita (1962) riconfigurandone gli aspetti più marcatamente legati alla sfera della sessualità e adattandoli al contesto della Guerra Fredda, realizzando un’opera brillante che si pone a cavallo tra il dramma e la satira politica. Il dottor Stranamore, a tal proposito, si propone come commento e rilettura del conflitto/non-conflitto tra Stati Uniti e Unione Sovietica attraverso una messa in scena dello stesso come un insieme di eventi irrimediabilmente piegati e consumati dalle leggi proprie dell’ipermascolinità.
Il generale americano Jack D. Ripper (interpretato da Sterling Hayden) trasmette un ordine di guerra ad uno stormo di bombardieri, incaricandoli di dare il via ad una guerra nucleare contro l’Unione Sovietica. Oltre a richiamare attraverso il suo nome la figura dell’assassino seriale di prostitute Jack lo Squartatore, il generale cerca di giustificare la sua azione sostenendo come i sovietici abbiano cercato di contaminare i fluidi corporei degli americani, minandone l’integrità fisica e sessuale. Allo stesso tempo, il generale Turgidson (George C. Scott) incarna nella sua persona delle precise tendenze distruttive nei confronti dell’alterità, trasformando così il richiamo alla turgidità fallica contenuto nel suo nome in vere e proprie dichiarazioni di intenti, similmente a quanto svolto da Kubrick con il personaggio di Ripper, dove il paragone con Jack lo Squartatore e implicitamente con le sue azioni si erge a simbolo di un’impotenza strutturale tesa direttamente all’esame della gestione della sua posizione di potere.
Kubrick dissemina la sua opera di rimandi alla sfera sessuale – dove il più esplicito, la cavalcata della bomba del pilota maggiore Kong (Slim Pickens), è con il tempo diventato iconico – per riflettere cinicamente proprio sulla natura del potere. Il dottor Stranamore, adattamento libero di Red Alert (1958) di Peter George, prende le mosse dall’assunzione di un motto specifico per cercare, di fatto, di destrutturarlo e di farlo collassare in partenza: “peace is our profession”, la pace è la nostra professione. L’espressione, che si legge più volte sui manifesti attorno alla base militare comandata da Ripper e tra le sue mura, esibisce le contraddizioni intrinseche della guerra, soprattutto nello scenario estremamente particolare e complesso prodotto dalla Guerra Fredda e dalla cosiddetta mutual assured destruction. In un contesto nel quale la realizzazione effettiva dell’atto distruttivo supremo, la tanto temuta guerra nucleare, finirebbe per causare un annienamento totale o quasi del genere umano, l’elemento che si trova a dover operare da garante di un equilibrio, per quanto precario, diventa, per dirla con le parole dell’eccentrico personaggio del dottor Stranamore (uno dei tre volti “indossati” da Sellers nel film), il sentimento della paura.
Coloro che sono adibiti a mantenitori della pace diventano così dispensatori di paura e terrore, rendendo l’esistenza di macchinari dell’apocalisse (doomsday machines) un aspetto necessario per coltivare queste emozioni, in una ciclica rincorsa alla morte che tradisce qualsiasi idea che vede nel concetto di pace l’assenza della violenza. E se l’apocalisse dovesse avvenire, come si potrebbe ripartire e ricominciare a vivere? La risposta per il dottor Stranamore, formalmente un ex nazista ma in realtà un ancora fiero sostenitore delle azioni di Hitler, è semplice: rifugi antiatomici all’interno dei quali mantenere un rapporto tra donne e uomini di 10 a 1, per garantire il ripopolamento del pianeta in modo da prepararsi al meglio per le guerre future. Perché, secondo il dottore, una volta ritornati in superficie bisognerà, inevitabilmente, riprendere ogni conflitto. Il messaggio di Stanley Kubrick è semplice ma importante, e molti – soprattutto chi si trova nella posizione di dover, di fatto, gestire e amministrare il potere – sembrano tutt’oggi non averlo ancora compreso: l’essere umano sbaglia, e i suoi errori sono ciclici, innervati nella sua natura fallibile. Per poter ambire a muoversi al di là di questi limiti a modo loro caratterizzanti l’intera esperienza umana nel suo complesso è necessario, prima di tutto, diventare consapevoli della loro ineliminabile presenza.
Daniele Sacchi