È difficile trovare cineasti in grado di raccontare l’universo interiore dell’essere umano con la stessa genuinità e spontaneità con cui è riuscito a farlo Éric Rohmer nei suoi Sei racconti morali. Il ginocchio di Claire (1970), quinto capitolo del suo ciclo di film dedicati ad esplorare la natura più intima e celata dell’uomo, è sicuramente uno degli episodi più interessanti – insieme a La mia notte con Maud (1969) – di questo prolifico periodo della sua carriera.
Le rive dal lago di Annecy fanno da meraviglioso sfondo alla vicenda del film. Un diplomatico francese, Jérôme (Jean-Claude Brialy), incontra per caso la vecchia amica Aurora (Aurora Cornu) nella pittoresca cornice estiva offerta dal lago francese. La donna, ospite della famiglia Walter, confessa a Jérôme che la figlia più giovane della padrona di casa, Laura (Béatrice Romand), si è presa una cotta per lui. L’uomo, tuttavia, è in procinto di sposarsi e confessa di aver sviluppato una disaffezione nei confronti delle relazioni effimere e transitorie. Presto, però, l’incontro con Claire (Laurence de Monaghan) – la figlia più grande di Madame Walter – susciterà un interesse peculiare in Jérôme e lo porterà a riflettere sulla natura stessa del desiderio e dell’attrazione.
Il regista francese – da sempre interessato ad una messa in scena semplice e spontanea in cui ogni inquadratura può essere facilmente ricondotta ad una consapevolezza pittorica dal sapore impressionista – si sofferma in particolar modo sulla dimensione del dialogo per esplorare a fondo i pensieri e le intenzioni dei suoi personaggi. Un’escursione in montagna ci avvicina alla figura di Laura e inizia a suggerirci le prime titubanze relazionali di Jérôme, ormai prossimo al matrimonio e ben lontano dal suo passato da tombeur de femmes. Il gioco seduttivo con la ragazza – una scommessa con Aurora – non ha vita lunga ma ci permette di stabilire una connessione con i personaggi, di trovare un qualcosa per legarci ad essi, che sia un’argomentazione, il ricordo di un’esperienza simile o una semplice emozione.
Ne Il ginocchio di Claire, la dimensione del gioco tra Jérôme e Aurora si ripresenta in diverse occasioni e si traduce in un vero e proprio esperimento mentale continuo. Dopo il successo con Laura (o fallimento, a seconda dei punti di vista), i due identificano un nuovo potenziale oggetto del desiderio: Claire. In realtà, Jérôme continua a ribadire la propria distanza e i propri vincoli, ma con un twist singolare. L’uomo, infatti, abbandonata ormai ogni pulsione sessuale passeggera, sembra invece percepire un’attrazione particolare per il ginocchio della ragazza. La necessità percepita da Jérôme di provare un’emozione tattile nel poggiare la propria mano sulla parte del corpo della ragazza racchiude in sé la forza imperante del desiderio, desiderio inteso qui come un puro atto di controllo nei confronti dell’alterità.
L’Altro si trova così sottomesso ad un atto di volontà apparentemente innocente, forse perverso, forse poetico. In tutto ciò, Rohmer sottolinea però la necessità di una comunanza, di un punto d’incontro tra il Sé che agisce con il suo desiderio e l’Altro che subisce: non necessariamente la presenza di una condivisione di intenti, ma anche solo, semplicemente, un incontro fortuito e coincidente tra le trame e le pieghe del tempo, un fattore esemplificato perfettamente nella sequenza risolutiva del film. Il ginocchio di Claire è, in conclusione, uno splendido affresco sull’essere umano, grazie in particolar modo all’impressionante autenticità con cui Rohmer riesce a trattare argomenti profondi e delicati come l’amore giovanile e le frontiere del desiderio.
Daniele Sacchi