Si dice spesso, ironicamente, che la Pixar negli anni è passata dal raccontare come i giocattoli avessero dei sentimenti fino ad arrivare all’estremo in cui anche i sentimenti hanno dei sentimenti. Effettivamente, è un modo efficace di raccontare il successo di Inside Out, prodotto che sta segnando una generazione come ha fatto Toy Story un tempo e, mantenendo il parallelismo, anche qui con Inside Out 2 si raggiunge la maturità del prodotto e un nuovo apice, aggiungendo un nuovo tassello al percorso di crescita della sua protagonista (che si concluderà molto probabilmente in un terzo capitolo).
Il mondo del cinema è monopolizzato dai franchise e dalle serie, ma cosa rende Inside Out 2 un prodotto decisamente più valido di un qualsiasi sequel che l’industria cinematografica continua a propinarci (Disney inclusa e anzi più di tutti colpevole)? L’originalità. Inside Out non è un universo vecchio resuscitato e tenuto in vita nel tentativo disperato di strappare qualche dollaro in più al pubblico. Di certo raccoglie e risente di stimoli e suggestioni del passato: impossibile evitare il paragone con Toy Story, la prima trilogia pixariana della crescita, ora riproposta da una prospettiva diversa, ma Inside Out resta un mondo separato, con le sue regole e con la sua identità, un racconto di formazione a cui i bambini e i ragazzi (e non pochi adulti) di oggi potranno fare sempre affidamento nel corso della vita, proprio come fu il caso di Toy Story. In questo, la Pixar ha trovato il vero erede del suo prodotto di punta, dopo l’esperimento interessante – ma discutibile – di Toy Story 4.
L’adolescenza è una fase della vita confusa, sofferta, problematica, ma necessaria. È l’età in cui si inizia a diventare maturi e in cui le emozioni estemporanee e fisse dell’infanzia come la gioia, la tristezza, la rabbia e la paura, trovano un corrispettivo tridimensionale, proiettato nel tempo e nello spazio, anche inteso come società. L’ansia, l’imbarazzo, la noia sono i motori di molti guai, ma anche i campanelli d’allarme che ci permettono di calcolare le conseguenze delle nostre azioni. Inside Out 2 parla di questo e riesce perfettamente a dipingere questa confusione, questa mancanza d’ordine, in maniera eccelsa. La rappresentazione grafica delle emozioni, e in generale di tutti i comportamenti della nostra mente, trascende presto il semplice intrattenimento e diventa uno strumento di autoanalisi incredibile per l’adulto, mentre apre ad uno spettro descrittivo enorme per i più piccoli.
Dire che Inside Out 2 è un prodotto fuori dagli schemi sarebbe oltremodo sbagliato. Il film è precisamente posizionato per parlare a una fetta di mercato, per vendere merchandise e suppellettili vari, ma anche attrazioni, abbonamenti, etc. Tuttavia, come per Toy Story, ciò non sminuisce le grandi maestranze e professionalità che il mondo Pixar porta da sempre sullo schermo, unite a una missione – dimenticata da molti produttori – di cercare di arrivare davvero ai più piccoli. E se può sembrare paradossale che le migliori alternative all’appiattimento che la Disney sta portando all’industria cinematografica provengano proprio dal suo interno, bisogna riconoscere che è tutto invece parte di un progetto precisissimo di segmentazione del pubblico in nicchie più o meno grandi. Ciò non toglie che con Inside Out 2 la Pixar si conferma come la vera casa delle idee del mondo Disney, consegnando un film che è già classico (capace di incassare 1 miliardo di dollari in meno di due settimane) e destinato rimanere a lungo nell’immaginario collettivo.
Alberto Militello