Roman Polański sceglie la cornice della 76esima Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia per presentare la sua nuova produzione, J’accuse, un film storico sull’affare Dreyfus che nel titolo richiama esplicitamente l’editoriale di Émile Zola pubblicato nel gennaio 1898 sul quotidiano L’Aurore. L’episodio al centro della trama della pellicola è proprio la condanna per alto tradimento di un capitano di origine ebraica innocente, Alfred Dreyfus, rielaborato in una chiave quasi investigativa.
Il protagonista del film infatti non è Dreyfus (Louis Garrel), bensì il colonnello Georges Picquart, interpretato da Jean Dujardin, attore celebre soprattutto per la sua grande prova attoriale in The Artist (che gli è anche valsa un Oscar). J’accuse segue nello specifico i tentativi da parte del colonnello di smascherare il complotto politico che si cela dietro la condanna a Dreyfus, seguendo gli obblighi istituzionali e morali della verità e della giustizia che, in teoria, dovrebbero essere una parte integrante e fondamentale del suo ruolo di ufficiale.
La narrazione si sviluppa sul modello proprio dell’intrigo, mostrando apertamente allo spettatore le macchinazioni e gli stratagemmi che hanno condotto alla condanna di Dreyfus per una serie di questioni di legittimazione politica e sociale, oltre che di barbarie dell’animo umano. Con J’accuse, Polański fornisce allo spettatore il quadro di un’epoca storica che tutti conoscono ma la cui rilevanza viene spesso dimenticata. Nel fondere la critica sociale all’intento pedagogico, il film del regista polacco racconta un’epoca di odio e di chiusura, di ricerca di un capro espiatorio per poterlo incolpare dei problemi dello Stato (gli ebrei, nel caso della Francia di fine ‘800) e per conferire così ai soggetti nei quali si concentra una parte del potere nazionale un’aura provvidenziale, nella speranza di ottenere l’approvazione popolare.
In linea con alcuni dei sentimenti della contemporaneità, il j’accuse di Polański sembra indirizzato non solo verso i crimini e gli errori del passato, che non devono assolutamente essere dimenticati, ma appare quasi come un vero e proprio monito per la situazione sociale globale attuale. L’idea di mostrare la pellicola interamente dal punto di vista di Picquart sembra muoversi di pari passo con questa intenzione: è necessaria una precisa coerenza morale da parte di chi detiene una parte del potere (l’esercito, nel film), senza la quale si rischia di delegittimare l’alterità. Se i primi a mancare di rispetto verso l’altro sono i detentori del potere, viene a mancare il contratto sociale che dovrebbe sostenere l’integrità statale.
L’antisemitismo rappresentato in J’accuse non deve essere dunque confuso come la mera rappresentazione di una singola istanza di terrore di un’epoca – sebbene il film si concentri esplicitamente su di essa – in quanto, sulla base dei valori veicolati da Picquart, il discorso sembra assumere invece una portata universale. La cura maniacale di Polański nella caratterizzazione dei vari protagonisti dell’affare Dreyfus supporta questa sensazione. Ogni singolo partecipante al complotto ai danni dell’ufficiale di origine ebraica, nella propria individualità specifica, supporta la stessa idea degli altri: il traditore della patria presente nell’esercito non può che essere un ebreo. Il processo di pensiero che li porta a negare il possibile coinvolgimento di un francese non ebreo sembra associarsi ad un istinto di autoconservazione del potere che è completamente astorico, presente in potenza in qualsiasi conformazione sociale o politica dove la parte che si percepisce inadeguata all’intero deve essere eliminata.
J’accuse è dunque un’opera profondamente critica, ma anche piacevole da seguire. Invece di soffermarsi a lungo sui processi riguardanti Dreyfus, Polański ci mostra un contesto più ampio, esaminando il progressivo sviluppo delle ricerche di Picquart e presentando allo stesso tempo alcuni dei fatti del passato attraverso pochi flashback, non disarticolati dalla narrazione complessiva ma riportati alla mente del colonnello da alcuni degli oggetti della sua indagine. La scorrevolezza della trama, insieme all’analisi storica condotta da Polański, rendono J’accuse un film molto avvincente, capace di riflettere lucidamente sulla storia e sull’uomo.
Daniele Sacchi