Nato da un sogno dello sceneggiatore Bruce Joel Rubin, noto soprattutto per aver scritto Ghost (Jerry Zucker, 1990), Jacob’s Ladder è ormai diventato un film di culto, grazie soprattutto alla grande influenza che ha avuto sul franchise videoludico Silent Hill che ha portato molte persone a rivalutare l’importanza dell’opera che lo ha ispirato in diversi aspetti.
Diretto da Adrian Lyne nel 1990, Allucinazione perversa (questo il titolo scelto per la versione italiana) riporta nelle sue sequenze iniziali proprio il sogno di Rubin. Il protagonista del film, Jacob (Tim Robbins) si trova chiuso all’interno di una metropolitana, con pesanti catene che gli impediscono di abbandonare il luogo. Si incammina dunque sui binari in cerca di un’uscita, ma rischia di essere investito da un treno in arrivo, salvandosi solo per miracolo. Il modo con il quale Lyne decide di mostrarci l’evento richiama la dimensione dell’incubo a più riprese, ricorrendo a elementi particolarmente tetri, come gli inquietanti personaggi incontrati dal protagonista sul treno, e a un finale interrotto. Nella sequenza successiva infatti, Jacob viene inquadrato mentre ritorna a casa dalla fidanzata Jezebel (Elizabeth Peña) come se nulla fosse effettivamente accaduto.
Nello specifico, Jacob’s Ladder racconta la vita di Jacob successiva al suo ritorno dalla guerra in Vietnam, durante la quale è stato ferito gravemente: un evento con il quale il film si apre che, insieme alla sequenza in metropolitana, impone immediatamente allo spettatore lo stile particolare con il quale Lyne ha deciso di mettere in immagine lo script di Rubin. Alternando le sequenze in Vietnam a quelle negli Stati Uniti, Lyne costruisce l’intera narrazione del film attorno a Jacob e ai modi con i quali convive con il suo disturbo da stress post-traumatico (amplificato peraltro dalla scomparsa del figlio Gabe, interpretato da Macaulay Culkin), ricorrendo in diverse occasioni all’assurdo, al tetro, al demoniaco, all’inspiegabile.
Il flashback in Jacob’s Ladder funge a tal proposito da strumento di dissesto dello sguardo spettatoriale. Oltre ad approfondire la trama, i frequenti salti temporali riescono allo stesso tempo a mimare l’instabilità psicologica del protagonista stesso, e l’inserimento di diversi sottotesti narrativi incerti opera in tal senso verso una messa in scena di quella che potremmo definire come una vera e propria retorica dell’inganno. Siamo certi che i disturbi psicologici del protagonista siano reali? O, come progressivamente sembra scoprire Jacob stesso, siamo di fronte ad un elaborato complotto messo in atto dal governo americano?
Lungi dal volersi perdersi in un mero scontro dicotomico tra l’apparente follia del protagonista e la rappresentazione del suo disagio, il film del regista britannico cerca in realtà di porsi su un piano più alto. Il riferimento nel titolo alla biblica scala di Giacobbe infatti non è casuale. Come diventa maggiormente evidente soprattutto durante una seconda visione, Jacob’s Ladder è un’opera ricca di citazioni ai testi cristiani, non solo nei nomi dei suoi protagonisti ma anche nella tematica chiave che lo guida. Da questo punto di vista, il viaggio di Jacob alla scoperta di ciò che sta dietro le ambiguità che sin dal Vietnam hanno caratterizzato la sua esistenza assume i tratti di una vera e propria scalata verso la verità.
A questo proposito, le parole del filosofo medievale Meister Eckhart pronunciate dal chiropratico di Jacob (Danny Aiello), insieme ai momenti conclusivi del film, non lasciano molto spazio di interpretazione di fronte agli eventi vissuti dal protagonista: «la sola cosa che brucia all’inferno è la parte di te che rimane aggrappata alla vita: i ricordi, gli affetti. Ti bruciano via tutto. Non lo fanno per punirti, ma per liberarti l’anima». L’unico modo per Jacob di lasciarsi alle spalle il metafisico purgatorio che risiede in lui stesso, è abbandonare tutto ciò che lo tiene ancorato al mondo che ha deciso di accettare come reale: solo così potrà ambire ad ottenere le chiavi d’accesso per la verità, in una purificatoria ascensione spirituale che lo libererà dalla materialità dei suoi pensieri, dal caos della sua mente diventato materia.
Daniele Sacchi