Joker: Folie à Deux, la recensione del film

Venezia 81

Joker: Folie à Deux ci permette di risolvere un dubbio: la forza sovversiva e la cruda concretezza del primo Joker erano solo una momentanea illusione. Presentato in concorso durante l’81esima edizione della Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, il sequel di Todd Phillips delude e “sporca” il suo lavoro precedente, sminuendone l’impatto e archiviandolo quasi come un errore. Joker: Folie à Deux sembra infatti un’appendice del primo film, un’aggiunta – verrebbe da dire un ripensamento – che mette a processo l’audacia di Joker (che, lo ricordiamo, vinse il Leone d’oro proprio a Venezia nel 2019), depotenziandolo a posteriori.

L’intreccio del film si ricollega proprio al finale di Joker. Arthur Fleck (di nuovo Joaquin Phoenix) è detenuto all’Arkham State Hospital, in attesa di conoscere i risultati degli esami riguardanti la sua possibile infermità mentale per capire se dovrà andare a processo in tribunale a rendere conto dei suoi crimini. Nel frattempo, Arthur conosce Harleen Quinzel, detta Lee (Harley Quinn nei fumetti DC, qui interpretata da Lady Gaga), una donna infatuata della figura del Joker. Uniti da un amore ossessivo e da un disturbo psicotico condiviso (la folie à deux del titolo), Arthur e Lee pianificheranno un futuro insieme, ma dovranno prima cercare di fuggire dall’istituto.

La matrice scorsesiana – da Taxi Driver a Re per una notte – che permeava Joker scompare per lasciare spazio in questo sequel a un ibrido tra il court drama e il musical, mettendo da parte ogni forma di intensità drammatica per concentrarsi su un dualismo dialettico che coinvolge non solo Arthur e Lee, ma anche lo stesso Arthur con il suo essere Joker. Il risultato di questo processo è un incedere disorientato, ridondante, senza meta, che non ci racconta mai qualcosa in più su Arthur Fleck. I segmenti musicali che spesso interrompono il naturale svolgimento dell’intreccio cercano di riempire questa mancanza dando spazio all’interiorità del protagonista (specialmente nell’esplorare la sua relazione con Harley), ma finiscono per essere di troppo, schiacciati dalla vacuità che li circonda. Chiariamoci, la messa in scena di questi momenti, a cavallo tra l’intimismo e il sontuoso, è visivamente splendida, ma non basta questa riduzione estetizzante ed attribuire un senso compiuto al tutto.

Persino l’universo gothamiano viene ridotto a semplici riferimenti accessori, come ad esempio la presenza del procuratore distrettuale Harvey Dent e poco altro. Tutto è invece improntato a nascondere l’ardore sovversivo del primo Joker in favore di uno studio del personaggio che si limita a cercare di illustrare i suoi traumi identitari, senza mai penetrarli realmente. Apprezzabile, da questo punto di vista, è invece il curioso incipit, un cartoon animato dal regista e fumettista francese Sylvain Chomet (conosciuto per Appuntamento a Belleville e per L’illusionista) che ci mostra Arthur nei panni del Joker mentre lotta con la sua ombra, centralizzando immediatamente l’attenzione spettatoriale sulla questione del doppio.

Tuttavia, tra le svariate sedute in aula e i pestaggi in prigione, nonché tra un brano sonnolento e l’altro, Joker: Folie à Deux si dimentica di acuire quello sguardo sociale tanto pungente nel film precedente quanto sparuto e insignificante in questo. Anzi, questioni come la mitizzazione, la rivolta dal basso, il collasso dei media, vengono minimizzate e messe tra parentesi, affibbiate a un gruppo insurrezionalista che verrà rigettato dallo stesso Joker, quasi a voler fare ammenda (senza ragione alcuna) per il passato. La meteora Todd Phillips, insomma, si è schiantata.

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Daniele Sacchi