La città proibita di Gabriele Mainetti, la recensione del film

La città proibita

Se c’è un genere in cui la cinematografia italiana è storicamente carente, quello è l’action. I titoli che più possono ricondursi all’action, in epoca recente, sono principalmente quelli di Gabriele Mainetti che con La città proibita aggiunge un nuovo tassello – o meglio un nuovo gradino – per l’ascesa del genere in Italia.

La trama del film, in breve. Allenata alle arti marziali fin da bambina, ma costretta alla reclusione, Mei (Yaxi Liu) arriva a Roma alla ricerca della sorella, costretta a lavorare come prostituta per La città proibita, un locale gestito dalla malavita cinese. Nella sua ricerca, Mei si imbatterà nel mite Marcello (Enrico Borello), cuoco di una trattoria vicina, abbandonato dal padre scappato per amore proprio con la sorella di Mei. L’indagine sui due scomparsi, scaglionata da una serie di scazzottate magistralmente dirette e sceneggiate, porterà a unire i due personaggi.

Tanti sono gli elementi che fanno sì che La città proibita sia perfettamente allineato agli standard di genere, anche rispetto a titoli ad alto budget. In primis, come anticipato, lo fanno proprio le scene d’azione, che coinvolgono star e stunt internazionali, sia davanti e dietro la camera, tra cui Liang Yang (Deadpool & Wolverine, Skyfall e Rogue One). Di sicuro ha aiutato anche un budget non indifferente per essere un film italiano, circa 16 milioni di euro. Ma quali sono allora i limiti del film?

Il principale si trova in una certa stereotipizzazione dei personaggi cinesi, tendenti al bidimensionale e dal gusto forse un po’ superato, dall’altro una trama piuttosto prevedibile che non spicca per originalità e non prende il volo, ma che contestualmente al genere è un tratto accettabile. La città proibita è un ottimo action, di altissimo livello tecnico, dal grande impatto visivo e incredibile dal punto di vista dell’intrattenimento. Se da un lato ci sono le performance di livello degli stunt actor cinesi, dall’altro ci sono anche le ottime prove di Marco Giallini e di Sabrina Ferilli che restituiscono una parte comica e umana di spessore.

L’unico vero limite del film è semplicemente quello di non aggiungere nulla di concreto al vasto panorama del suo genere. Se infatti l’action è una prerogativa del cinema statunitense e asiatico, non mancano anche nel cinema europeo degli esempi virtuosi, ma l’Italia non è di certo tra questi. Gli stessi film di Mainetti che ben sviluppano la parte action sono quasi più riconducibili al genere supereroistico. E se quei titoli, Freaks Out e Lo chiamavano Jeeg Robot, riescono a collocare lo stivale nel panorama del cinema supereroistico, lo stesso non si può dire per La città proibita con il suo genere di riferimento, ma ciò non significa che il film non meriti. Anzi, è un action coi fiocchi, con una dignità internazionale e un livello molto alto. A mancare è quel quid in più delle sue opere precedenti, pur nel grande effetto (e nella grande maestria) suscitato dal film, che comunque svolge a piene mani il suo lavoro.

Alberto Militello