La stanza accanto di Pedro Almodóvar, la recensione

The Room Next Door

Dopo più di 40 anni di carriera, Pedro Almodóvar approda al Lido di Venezia con il suo primissimo lungometraggio in lingua inglese. Punto di arrivo di un percorso iniziato con i cortometraggi The Human Voice e Strange Way of Life, La stanza accanto The Room Next Door è il titolo originale – è infatti in concorso all’81esima Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, a tre anni di distanza da Madri parallele (con il quale aveva aperto Venezia 78). Adattamento cinematografico del romanzo Attraverso la vita di Sigrid Nunez, La stanza accanto esamina da vicino il rapporto tra due amiche, Martha e Ingrid, interpretate rispettivamente da Tilda Swinton e da Julianne Moore.

Il film si apre con una sessione di firmacopie in una libreria, durante la quale la celebre scrittrice Ingrid si imbatte in una vecchia amica, Stella. Grazie a questo incontro, Ingrid viene a conoscenza della malattia terminale di Martha – una ex reporter di guerra – e decide quindi di andarla a trovare in ospedale. È solo l’inizio di un percorso di riavvicinamento tra le due donne, che presto decideranno di trascorrere insieme una particolare “vacanza” dai propositi estremi: Martha, infatti, desidera avere un’amica nella stanza accanto mentre pone fine alla sua vita.

Con la solita – e sempre apprezzata – verbosità tipica del cineasta spagnolo, La stanza accanto approfondisce questioni dal grande peso esistenziale con uno spiccato gusto per il dialogo e per il confronto. Nonostante Martha si sia chiusa completamente alle sue amicizie più care e alla figlia (la quale riserva un profondo rancore verso la madre a causa di un’assenza paterna mai perdonata), riesce comunque a trovare in Ingrid una valvola di sfogo per esprimere il suo fatalismo. La stanza accanto è, in tal senso, una messa in scena intima della pulsione di morte, non in quanto mero atto autodistruttivo, ma come affermazione di libertà di fronte alla scelta più estrema di tutte. Si può essere d’accordo o meno con la posizione di Martha nel film, non è questo il punto: ad Almodóvar interessa esaminarne i limiti, i margini, le zone d’ombra, per far risaltare l’umanità dei suoi personaggi.

A mancare, rispetto al passato, è il calore tipico dei film di Almodóvar, il quale nelle sue incursioni più serie è sempre riuscito a trovare un giusto equilibrio tra la gravità del dramma e l’ironia del mondano. Ne La stanza accanto, invece, si percepisce spesso una certa disconnessione tra ciò che si vede a schermo e la materia trattata, un lirismo visivo poco ispirato, nonché dialoghi farraginosi, didascalici e spesso ridondanti, tanto che il personaggio interpretato da John Turturro – un ambientalista radicale – sembra inserito solamente per lanciare un tiepido monito extrafilmico. A tratti, sembra quasi di essere di fronte a una versione depotenziata di Julieta. Così, suggestioni di pura poesia, a partire dalla neve rosa sino ad arrivare allo splendido riferimento a I morti di James Joyce (con tanto di richiamo a The Dead di John Huston), si alternano a momenti di grande spessore attoriale che appaiono come eccessivamente autoreferenziali e fini a se stessi. Perché nemmeno le ottime prove di Tilda Swinton e di Julianne Moore possono compensare, a malincuore, il substrato emotivo carente di un film che colpisce solo in superficie, senza mai spingere fino in fondo.

Tutte le recensioni di Venezia 81

Daniele Sacchi